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 2016  giugno 30 Giovedì calendario

Il Trap è ottimista: «Come a Messico ’70, vinciamo ai supplementari»

MONTPELLIER Giovanni Trapattoni è uno dei padri calcistici di Antonio Conte, da quando lo accolse 22enne alla Juventus. È anche l’allenatore campione col Bayern nel 1997.
Trap, come va a finire sabato con la Germania?
«Sono convinto che ce la facciamo noi: dico Italia avanti ai supplementari. Come a Messico ’70».
Da cosa deriva questa fiducia?
«Lo spirito che abbiamo visto negli azzurri è eccezionale. Sarà una partita più difficile di quella con la Spagna, soprattutto come impatto fisico. Ma Antonio la preparerà bene: l’importante è spendere le giuste energie per colpirli. Come un pugile, l’Italia dovrà gestire bene attacco e difesa».
Conte era già un esempio quando lo allenava lei?
«Lui pretende tanto perché da giocatore ha dato tanto: si fermava dopo gli allenamenti con Sergio Brio per migliorare la tecnica. Io ogni tanto gli facevo saltare la partitella: “Devi correre domenica, gioco io al tuo posto...”».
Sabato senza De Rossi forse vorrebbe giocare lui...
«Purtroppo è una perdita importante, perché la personalità di De Rossi si fa sentire in mezzo al campo. Ma la fiducia in questo gruppo resta intatta».
Dobbiamo avere fiducia anche nel complesso tedesco verso l’Italia?
«Noi riusciamo a toccare dei tasti sul piano strategico, quindi tattico più che tecnico, che loro soffrono. Perché difficilmente riescono a cambiare in corsa. I miei tedeschi, Matthaeus, Brehme e Klinsmann mi dicevano: «Sì, mister, avversari forti, ma noi più forti». Se dico che sono presuntuosi si offendono, ma di sicuro hanno la convinzione di essere i migliori: è come dovessero dimostrare sempre qualcosa».
In che senso?
«È nella loro mentalità pensare che la Germania domini tutto, come la Merkel – e sia detto con tutto il rispetto possibile —. Poi però arriviamo noi, con la nostra creatività a volte geniale e allora soffrono tantissimo».
Lei già a settembre esprimeva grande fiducia per questo Europeo. Come mai?
«Conosco Antonio. E vedo il senso pratico, la preparazione e l’entusiasmo che ha dato a questa squadra: i giocatori ci credono, adesso ci crederà anche qualcun altro».
La squadra ha dei sassolini da togliersi?
«Sì, si vede la voglia di ribellarsi ai pronostici che ci avevano già fatto fuori. Gli azzurri centuplicano le loro forze, li ho visti fare delle rincorse eccezionali: tutti stanno dando tutto».
È solo merito di Conte?
«Alcuni giocatori si sono resi conto dell’opportunità e sanno che capita una volta sola: quella di sabato, sul piano sportivo, diventa la partita della vita o della morte. E ripeto, in campo non vanno dei ragionieri: con la nostra creatività possiamo fregarli».
La Germania oggi è multirazziale. Cambia qualcosa?
«Sì, sono più rapidi e tecnici. Hanno un quid in più di estrosità che li rende ancora più forti di una volta».
La differenza tra Italia-Germania del 1970 e del 1982?
«Che nel primo caso avrebbero dovuto proclamarci vincitori a pari merito col Brasile, contro cui poi abbiamo perso la finale. Ma quel 4-3 fu qualcosa di strepitoso, di epocale, anche per i tedeschi. E quell’urlo di Tardelli fu una liberazione di gioia unica».
Platini è il grande assente dell’Europeo. C’è troppa ipocrisia?
«Non so, ma credo che Michel alla lunga rientrerà. Chi aveva le armi per farlo, lo ha affondato».
Di Loew, c.t. tedesco, che pensa?
«La sua longevità è figlia di una Germania che non prende decisioni solo sull’onda dell’emotività per una sconfitta».
Noi invece...
«Forse cambiamo per una sorta di necessità creativa, chi lo sa. Io stesso sono vittima di una parola sbagliata in tv. Per loro la continuità è simbolo di forza, per noi no. E così è più difficile costruire qualcosa. E vale anche sul campo: guardate come i tedeschi fanno crescere i giovani».
Buffon è come Zoff?
«Sì è una pietra angolare. E un esempio».
Il paragone tra questa difesa e quella con Scirea, Cabrini, Gentile, invece è irreverente?
«No. Ma nessuno può offendersi se dico che Scirea era migliore di tutti questi. E di tanti altri che sono venuti dopo di lui».