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 2016  giugno 28 Martedì calendario

Poco più di 200 parole per regolamentare l’uscita di un paese dall’Ue e 80mila pagine di clausole di divorzio

Poco più di duecento parole per regolare l’uscita volontaria di un Paese dalla Ue. È l’articolo 50 del Trattato dell’Unione Europa approvato a Lisbona nel 2007 e ratificato dagli Stati membri nei due anni successivi. «Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione». Inizia così l’articolo 50. Nelle righe successive vengono declinate le modalità dell’uscita in termini piuttosto generici intorno ai quali, dopo il voto dei brittanici, si sono già aperte molte discussioni.
L’INIZIOIl fatto certo è che la prima mossa spetta al Regno Unito. Il referendum di giovedì scorso, infatti, non ha alcun valore formale per l’Unione Europa. Deve essere il governo britannico a comunicare ufficialmente a Bruxelles la richiesta di «recessione». David Cameron immediatamente dopo l’esito del voto ha annunciato la volontà di dimettersi a ottobre facendo intendere di non voler essere lui a comunicare, in veste di Primo Ministro, la decisione presa dal suo Paese. È probabile quindi che la «procedura di uscita» inizierà solo in autunno quando verrà nominato il suo successore.
Dal momento in cui Londra aprirà in modo ufficiale la procedura inizieranno i due anni durante i quali Gran Bretagna e Unione Europea dovranno trattare le modalità effettive di uscita. Due anni è il limite massimo stabilito dall’articolo 50 del Trattato. I più importanti fra i Paesi dell’Unione (Italia e Francia in primis, con la Germania più prudente) premono affinché le clausole del divorzio vengano stabilite in fretta. Ma è improbabile che possa accadere in tempi stretti vista la complessità dell’operazione.
GLI OBBLIGHI
Prima di sedersi al tavolo delle trattative Bruxelles incaricherà il Consiglio Europeo di redigere i criteri da seguire nei colloqui e dovrà anche nominare una delegazione incaricata di rappresentare l’Unione nel confronto con la Gran Bretagna. Passaggi burocratici che potranno chiedere molto o poco tempo a seconda delle volontà dei Paesi Ue. Durante tutto il periodo delle trattative Londra dovrà comunque sottostare alle regole imposte dall’appartenenza all’Ue al pari di tutti gli altri Paesi membri (compreso il rispetto dei parametri economici e l’imposizione di eventuali sanzioni) ma non avrà voce in capitolo nella fase delle decisioni prese dell’Unione.
I PASSAGGI
C’è chi ha calcolato che sono circa 80 mila le pagine che contengono trattati e accordi comunitari al centro della discussione sulle «clausole di divorzio». Secondo le previsioni degli esperti saranno in particolare gli accordi commerciali e quelli sui diritti dei lavoratori all’estero (quelli inglesi in Europa e quelli europei in Gran Bretagna) a prendere più tempo. Basti dire che la trattativa aperta sette anni fa fra Unione e Canada per nuovi rapporti commerciali non è ancora conclusa.
Alla fine dei due anni concessi dal Trattato per giungere a un accordo (sempre ammesso che non ci si arrivi prima), si apriranno due possibilità: l’Unione potrà decidere – con un voto preso a maggioranza dei due terzi – di prolungare la fase delle discussioni, o potrà presentare alla Gran Bretagna un documento finale con la clausola del «prendere o lasciare». E comunque il testo definitivo dell’accordo dovrà essere ratificato sia dal Parlamento Europeo che da quello del Regno Unito a meno che Londra non decida di fare diversamente.
POSSIBILITÀ DI RIPENSAMENTO
Solo quando arriverà l’approvazione definitiva il Regno Unito potrà effettivamente sancire il suo distacco da Bruxelles e da quel momento potrà anche interrompere il versamento delle somme (pari circa allo 0,5 per cento del pil) alla Comunità Europea. Esiste inoltre la possibilità da parte di Londra – per tutto il periodo delle trattative – di fare marcia indietro e di revocare la richiesta di distacco. Ma è un’eventualità che dipende esclusivamente dalla politica interna della Gran Bretagna.