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 2016  giugno 28 Martedì calendario

Le armi della Cia finiscono anche nelle mani dell’Isis

Le armi per i ribelli siriani addestrati dagli Stati Uniti in Giordania sono finite sul mercato nero, sotto il naso della Cia. E ancora più grave, l’Fbi ha scoperto che almeno una di questi armi è servita per uccidere due addestratori americani in un campo di Amman. Lo scottante scandalo è stato rivelato ieri sulle colonne del New York Times. Dal 2013 i servizi segreti Usa, in collaborazione con i sauditi, armano e addestrano unità di ribelli siriani contro il regime di Bashar Al Assad. Il nome in codice dell’operazione segreta è «Timber Sycamore». Grandi quantità di armi sono state acquistate dagli arabi negli arsenali dell’ex Jugoslavia e nell’Europa dell’Est con l’appoggio della Cia. Il New York Times e la tv satellitare Al Jazeera hanno scoperto, che nel programma segreto di centinaia di milioni di dollari qualcuno fa il furbo. Funzionari dei servizi segreti di Amman, che si occupano della logistica, trattengono una parte dell’armamento quando arriva in Giordania a bordo di Tir. Non solo fucili mitragliatori kalashnikov, ma pure lanciarazzi e mortai. L’arsenale sgraffignato viene venduto sul mercato nero. In Giordania ci sono tre grandi bazar del genere: Ma’an, nel sud del paese, Sabah nei dintorni della capitale e la valle del fiume Giordano.
Gli acquirenti sono soprattutto le reti di criminali locali e le tribù più potenti, ma parte delle armi rubate sotto il naso della Cia finisce anche all’estero. Gli operativi dei servizi coinvolti nel traffico si sono comprati nuovi fuoristrada super accessoriati, cellulari all’ultima moda e oggetti di lusso. L’aspetto più grave è che alcune di queste armi sono state utilizzate, secondo l’Fbi, per l’attacco dello scorso novembre in un centro di addestramento per i ribelli siriani ad Amman. Il capitano della polizia giordana, Anwar Abu Zaid, ha ucciso due contractor americani, un sudafricano e due interpreti del posto. Altre personale, anche straniero, è rimasto ferito.
Il New York Times rivela, che per l’Fbi, un’arma utilizzata dal killer faceva parte della fornitura ai ribelli siriani, come dimostra il numero di matricola. Le autorità giordane hanno sempre sostenuto che l’aggressore non era legato a gruppi del terrore, ma aveva problemi «finanziari e psicologici». Una versione che molti sospettano sia di comodo, come la difesa a spada tratta dei servizi giordani sullo scandalo delle armi rubate sotto il naso della Cia. Il ministro giordano Mohammad H. al-Momani ha dichiarato al New York Times, che la storia «è assolutamente incorretta». Il Direttorato generale di intelligence è uno dei pilastri della sicurezza ed il suo capo, come potere, risulta secondo solo al re. Al contrario, Husam Abdallat, consigliere di ex premier giordani, è a conoscenza che alcuni ufficiali della logistica sarebbero coinvolti nello scandalo, ma «la maggioranza degli operativi sono orgogliosi patrioti giordani, che rappresentano la prima di linea di difesa» del paese.
Il programma di addestramento ed equipaggiamento è avvolto da uno stretto riserbo, ma il vicepresidente Usa, Joe Biden, si è fatto fotografare, lo scorso marzo, nel centro di Zarqa. Il Pentagono in Giordania ha fatto un altro clamoroso buco nell’acqua nel tentativo di creare una forza di 5mila uomini, che combatta contro le bandiere nere. Nonostante un investimento di 500 milioni di dollari dalla Giordania sono partiti solo 54 guerriglieri finiti subito in un’imboscata di Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida. Alla fine del 2015 il programma è stato sospeso. La scorsa settimana un kamikaze dello Stato islamico ha attaccato proprio un centro di reclutamento dei ribelli siriani ad Al Rukban, in Giordania per colpire l’appoggio americano.