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 2016  giugno 28 Martedì calendario

I cent’anni di Olivia De Havilland

Venerdì primo luglio Olivia de Havilland compie cento anni. È un nome che alle ultime generazioni, per lo meno a quelle delle Playstation o dei 140 caratteri di Twitter o dei reality, può dire poco o nulla, ma dice molto, moltissimo a chi si interessa di cinema. Quel secolo è un segnale magnifico, un sortilegio, perché la De Havilland è l’ultimo testimone di quella stagione, anzi, di quelle stagioni, che erano l’età dell’oro del cinema. Il più bello del mondo. Ed è un segnale di arte e cultura generale, e di sentimento, quando ancora c’erano differenze, e non comandava questo relativismo che tutto omologa, il bello col brutto, il buono col cattivo.
Era ancora il tempo dell’eroe, o dell’eroina, com’è stata Olivia nei suoi film, portatrice di indicazioni buone e di stile alto, e di esempi che il pubblico assumeva e ai quali magari si rifaceva. Era la cosiddetta identificazione, era l’emulazione. Erano i codici che valevano e prevalevano in quelle epoche: la donna andava rispettata, il partner non tradito, i figli tenuti d’occhio, la famiglia tutelata. Era il cinema dove stavi dalla parte della legge, non del criminale. E dove gli uomini sposavano le donne. Queste prime righe sembrano davvero fuori tempo, nostalgia di un passatista. E infatti il modello rappresenta qualcosa di molto lontano... Un secolo, appunto. Tuttavia, pur nel quadro dei tempi, a volte si impone la qualità, che vale dovunque e comunque, e la qualità di quel cinema vale sempre, non è sorpassata. E Olivia tutto questo lo ha rappresentato e molto rimane ancora di visibile. Nacque, anzi... è nata – occorre il passato prossimo, non il remoto – bene. Suo padre Walter Augustus de Havilland, era un avvocato inglese con studio a Tokyo, sua madre era Augusta Ruse, attrice, nome d’arte Lilian Fontaine. Il cognome che poi avrebbe assunto Joan, sorella di Olivia. 1916 significa qualcosa, vuol dire ancora Commonwealth vitale, quando la frase era questa: «Sopra un inglese c’è solo Dio». Infanzia e adolescenza perfette. Preparazione artistica teatrale, e poi Hollywood. Sembra incredibile, ma Olivia era già protagonista, a diciannove anni, di grandi classici, come Capitan Blood (1936) e poi Robin Hood (1938), accanto a Errol Flynn. I magazine dell’epoca dedicavano pagine al rapporto, «isterico», fra i due. Ma in un’intervista di non molti anni fa Olivia è stata generosa e spiritosa: «Quando Errol mi baciava sul set sentivo che aveva dei problemi con la calzamaglia...». Con la sorella i giri di parole sono inutili, si odiavano. Perché avevano troppo in comune: grandi attrici, ruoli, appeal, successo, medesima intensità. Olivia ha vinto due Oscar: A ciascuno il suo destino (1946), L’ereditiera (1949). Sua sorella uno solo, con Rebecca la prima moglie (1940). Ma fu davvero un premio galeotto, perché Joan lo strappò a Olivia, anche lei in concorso con La porta d’oro. Durante la premiazione la De Havilland si rifiutò di congratularsi con la sorella. Non si sono più parlate. La memoria di getto riporta naturalmente a Via col Vento. Il ruolo che ha posto l’attrice nella leggenda del cinema. Era Melania, dolce, quasi remissiva, educata, a fronte di Rossella (Vivien Leigh), trasgressiva, pragmatica, irrequieta. In realtà nel privato Olivia era più simile a Rossella che a Melania. Frequentava alcuni degli uomini più ricchi d’America, quelli che stazionavano a Manhattan più che a Los Angeles, quelli che i film non li giravano ma li finanziavano. È impressionante pensare agli altri protagonisti di Via col vento, del 1939. Clark Gable (Rhett), Vivien Leigh (Rossella) Leslie Howard (Ashley). Gable è morto nel 1960, la Leigh nel 1967, Howard addirittura nel 1943. E Olivia è ancora qui. C’è di mezzo un’eternità, toglie il fiato. Donna e attrice di grande classe, quella che si dice una signora del grande schermo. Le sue compagne di viaggio si chiamavano Rita Hayworth, Bette Davis, Joan Crawford, Katharine Hepburn. La Garbo e la Dietrich erano di qualche anno più grandi, Audrey e Marilyn un po’ più giovani. Ma le divine, i ruoli e i miti sono quelli. Le generazioni sono quelle. E... non tornano più. La De Havilland, in carriera, anzi in... carriere ha mostrato completezza e intelligenza. Ha saputo superare la stagione della bellezza, non ha cercato di trattenere il tempo, non si è vergognata delle prime rughe. Ha adeguato i ruoli. Ha persino accettato di imbruttirsi.
Nell’Ereditiera, tratto dal racconto Washington Square di Henry James, accettò il ruolo di una zitella senza nessun fascino, aveva 33 anni e sembrava una cinquantenne. Bravissima a nascondere bellezza e appeal. Nella mia personale valutazione, quella performance è la sua migliore. Ha smesso di apparire sullo schermo quando non sarebbe stato più dignitoso, ma grottesco farlo. Parole sue. Un augurio da tutti, Olivia.