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 2016  giugno 28 Martedì calendario

Euro, caro ci costi. Con la moneta unica ognuno di noi ha perso 2.300 euro all’anno

Vogliamo votare anche noi. Sull’Europa. Sull’euro. Sulla nostra vita. Sul nostro portafoglio. Sui nostri figli. Perché gli inglesi sì e noi no? Abbiamo migliaia di ragioni per chiedere un referendum consultivo sulla permanenza dell’Italia in quest’Europa che, da grande sogno, sta diventando un incubo. A parte il diametro delle pizze o dei cetrioli, l’Europa ha imposto il cosiddetto bail-in, cioè se una banca fa crac per la crisi o per la scarsa capacità dei manager, a pagare il conto saranno i correntisti più abbienti, ma anche gli obbligazionisti e gli azionisti. Ma vi sembra giusto? Chi l’ha deciso? Non si sa, perché si fa presto a dire Europa, ma si fa fatica a capire chi è il colpevole di scelte non solo impopolari, ma anche stupide. Purtroppo il dibattito sull’Europa non è solo una questione ideologica o culturale, come vogliono farci passare i turisti della democrazia che stanno con la gente solo quando fa comodo a loro. È una questione puramente di portafoglio. Ci piace l’Europeo di calcio e la Champions League, ma non è piacevole scoprire che da quando siamo entrati nell’euro il nostro Pil pro capite è crollato dell’8,27%. Nel 2001 un italiano produceva 27.800 euro, nel 2015 il suo tesoretto si è ridotto a 25.500. Ognuno di noi, con la moneta unica, ha perso 2.300 euro annui. Quasi 5 milioni di vecchie lire. Vi sembrano pochi? Forse a qualche euro burocrate sì, ma agli italiani che fanno fatica con le rate del mutuo, no. Anche perché siamo il Paese che, fra i 28 dell’Unione, ha visto erodersi più di tutti la propria ricchezza. Non serve quindi un genio per comprendere l’euroscetticismo che alberga a casa nostra. Uno su due, fa notare l’ultimo report dell’Eurobarometro, non si sente europeo, e quasi sei su dieci non provano alcun senso di appartenenza alla bandiera blu con le stelle gialle. Hanno provato per decenni a dirci che l’Europa è bella. Peccato che alle parole non siano seguiti i fatti. Dall’economia al problema immigrazione. A Bruxelles partono i diktat, e noi – come fossimo dei servi della gleba – dobbiamo adeguarci.
E dire che l’Europa era un sogno. Ci ha portato effettivamente settant’anni di pace, dopo due guerre mondiali. Però da comunità leggera, dove ogni Stato aumentava la propria capacità d’influenza, l’Unione Europea è diventata un super-Stato, con tanto di burocrazia ossessiva e caste come se non ci fosse un domani. Più che altro, l’architettura di questa brutta copia di Stati Uniti d’Europa ha finito per portare al blocco di qualsiasi attività: se tutti hanno il potere di veto si finisce per non decidere. E chi non decide, subisce il potere di altri. Così noi non contiamo più niente. Peggio, i nostri politici spesso usano la Ue per nascondere le loro scarse capacità di intervenire contro gli sprechi o per tagliare le tasse. Risultato finale: nessuno fa niente, tutti ci rimettono. E che dire dell’euro? Sì, coi tassi bassi lo Stato ha pagato meno interessi, peccato abbia aumentato la spesa pubblica... Sì, anche noi abbiamo partecipato all’abbuffata del credito facile, peccato che qualcuno sia stato più ingordo con gli interessi rasoterra: i tedeschi.
Basta. Fateci votare, fateci scegliere, fateci partecipare. E smettiamola anche con il ritornello che «in Italia non si può perché lo vieta la Costituzione». Balle. Nel 1989, in concomitanza con le elezioni Europee, il Parlamento votò una legge speciale per chiedere il parere degli italiani proprio sul funzionamento dell’europarlamento. Visto? Si può fare, basta volerlo. Facciamoci sentire. Scriveteci all’indirizzo di posta elettronica noeuronoeuropa@liberoquotidiano.it, ritagliate l’appello sul giornale e speditecelo. Più siamo, più contiamo. Il Regno Unito ha creato il precedente storico: si può mettere in discussione l’Europa. Non facciamoci sfuggire questa occasione storica. Non ci capiterà mai più.