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 2016  giugno 28 Martedì calendario

Umm Kulthum, la Callas del mondo arabo

Fin dalla notte dei tempi, la scena è sempre stata la stessa, ogni primo giovedì del mese: «Nessuno ha unito il mondo arabo come lei», affermava, da smargiassa, mia madre, una delle fondamentaliste più estreme di Umm Kulthum. «Ma ti prego! È stato Jamal Abdel Nasser a rendere possibile l’impossibile, lo sanno tutti». Come tutti i nasseriani e i nazionalisti arabi, papà non mollava la presa. Era un fervente ammiratore del presidente egiziano – anche se non se lo era certo sposato. Non volendo prendere parte nella diatriba chi-ha-unito-chi, solo una cosa posso dire con certezza: né la Maria Callas del mondo arabo, né il nostro amato leader egiziano hanno mai avuto la forza o il potere di mettere d’accordo la mia famiglia.
Eccezion fatta per la mia famiglia, tutto il mondo arabo si raccoglieva all’unisono nel coprifuoco autoimposto nelle sere in cui cantava la Signora. E succedeva anche a Mango Street, benché molte schermaglie pre-concerto e faide familiari non mancassero di animare la nostra via prima che trionfassero la calma e il mutismo più assoluti.
Poche ore prima di cadere in trance, mamma si lasciava prendere da una furia iperorganizzativa. Come posseduta, correva da una parte all’altra della casa, impartiva ordini a chiunque le capitasse a tiro, redarguiva chiunque si fosse nascosto nel vano tentativo di sfuggirle. Il giorno del concerto arrivava e mamma regnava su tutto il vicinato. Il suo autoritario spadroneggiare tracimava la cerchia familiare (mio fratello, le mie due sorelle e io) per toccare parenti, amici, cugini, la nostra cameriera, le cameriere dei vicini, i vicini, i figli dei vicini, i suoceri – e naturalmente papà. Avendo momentaneamente accantonato il problema di mio padre e degli aspetti teoretici dell’unità araba, mamma si dedicava alle questioni organizzative concrete. La prima vittima dei preparativi per il concerto di Umm Kulthum era spesso Ayman, il suo preferito, il suo unico figlio maschio: «Ayman…Ayman…», cantava con voce dolce e melodiosa, per poi infilare tutto d’un botto gli acuti più estremi dell’impazienza: «Ayman!!! per carità di Dio metti via quel maledetto gioco e vai subito a chiamare i tuoi amici, dovete disporre le sedie lungo i muri del salotto. Prendetene qualcuna in prestito da Toni, al bar, caso mai tua Zia Na’imeh – e i suoi dieci figli, Dio l’assista – decidesse di unirsi a noi all’ultimo minuto come al solito». (…) Mi sono dimenticata di dire che alla maggior parte delle nostre serate per Umm Kulthum partecipavano quasi esclusivamente donne. No, non perché la separazione dei generi fosse in voga allora, come lo è oggi, no, non è per questo. Era solo perché mamma preferiva che fosse così. E a papà non dispiaceva, anzi. Era felicissimo di starsene in pace a leggere un libro sonnecchiando mentre ascoltava appagato Umm Kulthum, che anche lui amava alla follia. Dopo avere schiavizzato alcuni di noi e terrorizzato gli altri, mamma si adoperava per preparare il palcoscenico del nostro concerto semi-dal vivo di Mango Street. (…) Una volta verificato che tutto fosse pronto e in ordine, Mamma andava in camera a prepararsi prima dell’arrivo degli spettatori. Riappariva, sontuosamente vestita. Con quella sua mise da cerimonia, sembrava pronta per la Scala di Milano, più che per il suo salotto, di là dal corridoio. Così vestita da battaglia, Mamma si faceva trovare all’ingresso per ricevere gli ospiti di Mango Street. Da figlia imparziale quale sono diventata, posso testimoniare del fatto che se Umm Kulthum e il presidente Nasser avevano unificato il mondo arabo (abbandonando i non-arabi al loro destino), mia madre, va detto a suo merito, aveva sicuramente unificato i vicini arabi (giordani, siriani, palestinesi) e non-arabi. Musulmani e cristiani. Benché allora non sapessimo a quali etnie, religioni o sette appartenessero gli uni e gli altri, con la triste consapevolezza settaria di oggi posso dirvi che Mango Street negli anni ‘60 era veramente cosmopolita come New York, se non di più. (…) Tutti gli occhi fissi sulla radio, regnava il silenzio. Di lì a poco sarebbe arrivata la Signora. Naturalmente era la reazione del pubblico dal vivo al Cairo a determinare l’umore e il grado di eccitazione dei nostri spettatori ad Amman – e dei milioni di persone dovunque nel mondo arabo, riunite intorno agli apparecchi di ogni tipo e dimensione. Se il concerto del Cairo era un evento audiovisivo, la nostra era un’installazione sonora. Forse si potrebbe dire che oltre a essere una cantante iconica, Umm Kulthum è stata anche una delle prime artiste di installazioni sonore nel mondo arabo.
I dettagli sulla vita di Umm Kulthum passavano in tutti i giornali e le riviste, dunque i radioascoltatori potevano immaginare, potevano vedere la loro diva dovunque si trovasse: Damasco, Baghdad, Marrakesh. Essendo Umm Kulthum una donna coerente (o piuttosto, monotona, e alquanto noiosa nell’abbigliamento), era facile per i suoi ascoltatori immaginare il suo vestito lungo e scuro con lo scollo a V e le lunghe maniche di tulle, la sua ridicola spillona posta proprio sotto ai grandi seni, i capelli scuri raccolti in uno chignon, i lunghi orecchini di diamanti che accentuavano il suo collo corto. Gli ascoltatori potevano anche vedere il grande fazzoletto che Umm Kalthum reggeva sempre nella sua mano sinistra. Era oggetto di molte illazioni, perché nessuno sembrava avere davvero capito il motivo di quell’intrigante fazzoletto bianco che accompagnava la Signora in tutti i suoi concerti. Qualcuno pensava che fosse per timidezza; altri insinuavano che fosse impregnato della droga o sostanza che elevava lei – e il suo pubblico – allo stordimento e allo stato di trance. (...) Ora che il commentatore aveva annunciato l’imminente inizio del concerto, una quiete nervosa, un silenzio carico di apprensione calavano dentro la stanza – segno che il sipario, ancora abbassato, stava per levarsi. Con il primo applauso frenetico che giungeva dal Cairo, gli ascoltatori di Mango Street capivano che il sipario si era alzato. Scoppiava il secondo applauso euforico, con i fischi e le grida al suono di «Allah ya sit il kul», e non c’erano più dubbi: adesso, il pubblico cairota l’aveva davanti agli occhi, lei, la Diva. Wow. Aaaaah, i cuori di Mango Street si fermavano, insieme ai cuori di milioni di persone in tutto il mondo arabo.
Gli occhi fissi, regnava il silenzio. Di lì a poco sarebbe arrivata la Signora.