Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 28 Martedì calendario

Le donne potranno continuare ad abortire, anche in Texas. La decisione storica della Corte Superma

Il diritto delle donne al controllo delle nascite non si tocca. La Corte suprema ha bocciato una legge del Texas che rendeva sempre più difficile l’interruzione di gravidanza nello Stato: è incostituzionale perché «impone un onere illecito alle donne».
Il Texas, roccaforte del partito repubblicano, guida da anni una tendenza comune a molti Stati Usa governati dalla destra. Non potendo vietare l’aborto, che fu legalizzato con il beneplacito dei giudici costituzionali, si cerca di renderlo impossibile nei fatti. La legge del Texas imponeva alle cliniche che praticano l’interruzione di gravidanza una tale serie di requisiti tecnici, che il numero dei centri abilitati si sarebbe ridotto da 40 a 10. Quasi niente, per uno Stato Usa che è il più largo di tutti. Ora il Texas è costretto a fare marcia indietro, e con ogni probabilità dovranno seguirlo altri 23 Stati governati dai repubblicani, perché la sentenza costituzionale apre la strada a una lunga serie di ricorsi che daranno lo stesso esito. Diversi esperti costituzionali hanno definito questa sentenza come la più importante decisione dell’alta corte in materia di aborto da 25 anni a questa parte.
La prima decisione storica pro-aborto da parte della Corte suprema risale al 1973 con la sentenza “Roe versus Wade”: stabilì che la Costituzione protegge il diritto di una donna a terminare la propria gravidanza. In seguito però la Corte aveva tollerato diverse riforme locali tese a regolamentare l’interruzione in modo più restrittivo. Ieri tra le prime a reagire c’è stata Hillary Clinton su Twitter: «È una vittoria per le donne in tutta l’America. Il diritto a un aborto legale e sicuro va difeso per ogni donna, a prescindere da dove abita». Le leggi del Texas – secondo coloro che hanno fatto ricorso, e secondo la maggioranza dei giudici costituzionali – di fatto costringevano le donne in vaste zone di quello Stato a lunghi viaggi, talvolta nel vicino New Mexico, per trovare cliniche autorizzate.
La sentenza della Corte suprema è tanto più significativa perché cade in piena campagna elettorale. L’aborto, pur non figurando fra i temi più caldi del confronto politico, ha comunque diviso i candidati. Trump per ingraziarsi la destra religiosa arrivò a proporre che «donne e medici siano legalmente punibili in caso di aborto», un rovesciamento del diritto che gli è valso delle critiche perfino da parte di sua figlia Ivanka, e che poi lui si è rimangiato.
Gli stessi equilibri politici in seno alla Corte suprema sono una posta in gioco nell’elezione presidenziale dell’8 novembre. In seguito alla morte del giudice ultra-conservatore Antonin Scalia, uno dei nove seggi è vacante. Il potere di nominare un sostituto spetta a Barack Obama, ma la maggioranza repubblicana al Senato si rifiuta di ascoltare il candidato e di dare il suo via libera alla nomina. In molte decisioni cruciali la Corte si divide 4 contro 4 perché repubblicani e democratici sono in parità (ieri è stato decisivo il giudice repubblicano Anthony Kennedy che si è schierato coi democratici).
A questo punto chi vincerà le elezioni avrà anche il potere di ridisegnare gli equilibri giudiziari della corte costituzionale più potente del mondo.