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 2016  giugno 28 Martedì calendario

In morte di Bud Spencer

Maurizio Porro per il Corriere della Sera
Il gigante buono Bud Spencer, amatissimo dai minorenni di ogni Paese perché risolveva la morale a cazzotti, è morto ieri sera a Roma a 86 anni: il primo vagito, come Carlo Pedersoli, fu a Napoli nel 1929. Con quel nome, dopo gli studi in Sud America, fu paroliere con Modugno, campione di nuoto in due Olimpiadi (Helsinki e Melbourne); infine, atletico, prende il tram per Cinecittà e fa la comparsa in Quo vadis, bissando poi in Vacanze col gangster di Risi e nel Gattopardo di Visconti dove incrocia il suo futuro socio, il garibaldino Mario Girotti (alias Terence Hill). Quando si dice il destino.
La fortuna di Bud Spencer, nell’epoca in cui il western spaghetti cambiava le carte d’identità, fu incontrare il regista Pino Colizzi che lo scrittura con Terence Hill in Dio perdona…io no (67) e I 4 dell’Ave Maria (68) lanciando una coppia comico-eroica, un poco brancaleonica, che si impone nel 1970 con i primi titoli della serie di Trinità, deviazione grottesca del western non più solo spaghetti ma maccheronico: lui e Hill, del tutto complementari non solo nel fisico, saranno gli attori di maggior successo popolare del Dopoguerra.
Uno bello e biondo, romantico e pigro, il futuro don Matteo; l’altro grosso e rozzo ma buono come il pane fatto in casa e, da laureato in Giurisprudenza col pallino della giustizia, proteggere i deboli: il futuro Piedone, lo sbirro creato da Steno con un occhio di riguardo per i ragazzi. I primi Trinità di Clucher, cioè Enzo Barboni, mandano in tilt il box office con 8 miliardi e mezzo. Il western diventa un’avventura per gioco, come quando i bambini si travestono da cowboys e indiani, un modello infantile e parodistico che si ripete nelle farsesche avventure seguenti, tutte best seller: Più forte ragazzi, Altrimenti ci arrabbiamo, Porgi l’altra guancia, Due poliziotti super cops, Pari e dispari, Io sto con gli ippopotami, Chi trova un amico trova un tesoro, spesso su set di ambientazione esotica, botte e turismo.
Finché la materia, dopo 16 titoli miliardari che fecero faville anche in Sud America e Giappone, non diventa vintage ma un recupero fallisce con Botte di Natale nel 94 regia dello stesso Hill.
Bud Spencer, che recitò anche con Lizzani, Monicelli, Olmi, Pieraccioni e Argento, toltosi dall’angolo dei caratteristi, era come la metà di un cartoon che tutti si divertivano a disegnare così, ma si era ritagliato anche un suo spazio e aveva diretto un film, pur con lo stesso marchio di fabbrica.
In totale sintonia col pubblico impose Piedone (un Callaghan all’italiana) ed altri titoli: Anche gli angeli mangiano fagioli con Giuliano Gemma, Banana Joe, Bomber. Nei tormentati Anni di piombo, i pugni e le avventure di Spencer e Hill, sia che fossero diretti da Corbucci, Lupo, Zingarelli o Steno, assicuravano che la giustizia poteva fare il suo corso, dando una spinta al pessimismo. Lo stesso discorso vale, anzi si moltiplicò, per la tv con serie per ragazzi come Detective extralarge, Padre Speranza che fecero il botto di ascolti. Spencer non aveva avuto paura di rimettersi in gioco nel 2010, quando era tornato in tv dopo 15 anni di assenza, protagonista della fiction Mediaset I delitti del cuoco.

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Emilia Costantini e Renato Franco per il Sorriere della Sera«Ho perso il mio amico più caro, sono sconvolto»: poche parole, molta tristezza. Il saluto di Terence Hill a Bud Spencer fa a pugni (quante volte lo hanno fatto insieme) con ironia e autoironia, battuta pronta e gusto del paradosso che sono stati la cifra della vita di Bud Spencer: «Non ho mai voluto fare il cinema». E infatti Bud ha fatto oltre 100 film: «Avevo delle cambiali da pagare. Mi chiesero: sai andare a cavallo, sai parlare l’inglese, ti sei mai fatto crescere la barba? Risposi con tre no. Però gli serviva uno con il fisico come il mio». Ha fatto mille lavori: «Tranne il ballerino e il fantino». Leggeva Cartesio: «Ma il suo “penso dunque sono” per me è “mangio perciò vivo”». In realtà era seguace di una filosofia tutta sua: «Futtetinne». Versione napoletana del fregatene. Con Terence Hill un rapporto inossidabile: «Dovevo essere in coppia con un altro attore che la sera prima di girare si è fatto male e così è stato chiamato lui. Il destino. Siamo l’unica coppia a non aver mai litigato. E proprio perché non c’era invidia siamo diventati amici. A differenza mia, aveva studiato per recitare. Io non ho fatto scuole né accademie. Ma alla fine anche una scimmia impara a recitare». Nei film il grasso e il magro, il furbo e meno furbo, la mente e il braccio. Nella vita? «Lui è un pragmatico, io un casinaro napoletano. Abbiamo scoperto il comic western senza saperlo». Non si pentiva di niente: «Rifarei tutto, la mia è sempre stata una ricerca continua del limite. Mi ritengo un dilettante di alto livello». Aveva pure il brevetto di volo: «Giravamo Più forte, ragazzi! in Colombia. Io osservavo il pilota e così poi ho provato a farlo». Già, anche le scimmie alla fine imparano.

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Stefano Arcobelli per La Gazzetta dello Sport
Lo sport, diceva Bud Spencer, gli ha dato più del cinema: il suo simpatico paradosso. Ma era vero, come genuina e pure unica fu la sua vita da sportivo. Una vita presa prima a bracciate, poi a schiaffi. Tra gol e risate. Carlo Pedersoli nella storia azzurra ci entrò il 19 settembre 1950 a Salsomaggiore diventando il primo italiano a nuotare i 100 sl sotto il minuto (59”8). Una carriera romanzesca già in acqua, piena di 2 Olimpiadi (a Helsinki ’52 e Melbourne ’56), Europei, tricolori, primati italiani. Leggendaria divenne la sua miopia per far gol da pallanotista. Da siluro in acqua diventò siluro sul set: «Nella mia vita ho fatto tutto, meno il fantino nell’ippica e il ballerino. Ai miei tempi in Europa non ci battevano, io non ho rimpianti perché fumavo troppo e m’allenavo solo un chilometro al giorno. Viaggiavamo in terza classe per partecipare alle gare - ricordava - goliardiche cene con i compagni di squadra, episodi simpaticissimi come quando a Napoli, durante una gara di nuoto, franò una tribuna del pubblico e noi atleti ci tuffammo per salvare le persone e recuperarne i loro effetti personali tra applausi scroscianti: doveva essere una giornata di sport, divenne una giornata memorabile di cronaca cittadina». Pedersoli comincia dalla rana. Nato a Napoli, si trasferisce a Roma, emigra in Venezuela, torna in Italia verso la fine degli anni 40, dopo essere stato tesserato dalla Lazio Nuoto, e diventa campione italiano di nuoto a rana nelle categorie giovanili (1945). Dopo i Giochi ‘52 di Helsinki, insieme ad altri promettenti atleti, viene invitato alla Yale University e trascorre alcuni mesi negli Stati Uniti. Nel settembre ‘53, da centroboa azzurro segna 5 reti alla Spagna; nel 1956 è tricolore di pallanuoto con la Lazio e ai Giochi di Melbourne è 11° nei 100 sl. Carlo si laurea in legge e pare riluttante al cinema, preferendo la musica. Ma dopo qualche esitazione accetta. E diventa un’icona. Quel nuotatore-pallanotista di peso, quel campione dell’acqua rimasto dieci anni campione italiano della specialità regina, diventa fuoriclasse sul set. Inimitabile.

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Silvia Fumarola per la Repubblica 
Ha vissuto tante vite Bud Spencer, all’anagrafe Carlo Pedersoli, campione di pallanuoto e di nuoto (il primo italiano a scendere sotto il minuto nei 100 metro stile libero) prestato al cinema e diventato un divo grazie ai film in cui volavano cazzotti finti, presi con allegria insieme all’amico di una vita, Terence Hill. Se n’è andato a 86 anni in un ospedale romano («Serenamente», dice il figlio Giuseppe), ma forse con il desiderio di fare ancora un sacco di cose, perché era curioso, generoso, un napoletano doc, che coltivava una filosofia di vita tutta sua: «Futtetinne… Bisogna fottersene un po’ e imparare a farele cose che ci piacciono».
Le tante vite Bud Spencer, all’anagrafe Carlo Pedersoli, campione di pallanuoto e di nuoto (il primo italiano a scendere sotto il minuto nei 100 metro stile libero) prestato al cinema e diventato un divo grazie ai film in cui volavano cazzotti finti, presi con allegria insieme all’amico di una vita, Terence Hill. Se n’è andato a 86 anni in un ospedale romano («Serenamente», dice il figlio Giuseppe), ma forse con il desiderio di fare ancora un sacco di cose, perché era curioso, generoso, un napoletano doc, che coltivava una filosofia di vita tutta sua: «Futtetinne… Bisogna fottersene un po’ e imparare a farele cose che ci piacciono».
 Dalle Olimpiadi (Helsinki ’52 e Melbourne ’56, chiuse con l’agonismo ai giochi olimpici del 1960 a Roma) al set, sempre con naturalezza. Un Apollo in vasca, era un bellissimo ragazzo, per il cinema diventa il gigante buono amato dal grande pubblico: nato in una famiglia borghese, amava la vita avventurosa. Quando decide di dare una svolta, dopo che si era trasferito a Roma, spiega semplicemente che «era stanco della vita ai Parioli (quartiere bene della capitale, ndr) ». Accanto al cinema popolare, con successi come Lo chiamavano Trinità, c’è stato spazio per il thriller (diretto da Dario Argento in Quattro mosche di velluto grigio), per il cinema d’autore con Ermanno Olmi e persino per il dramma di denuncia civile con Torino nera di Carlo Lizzani.
 Il padre è un uomo d’affari e la famiglia finisce a Rio de Janeiro: Pedersoli fa l’operaio, il bibliotecario, il segretario d’ambasciata. Tornato a Roma, può riprendere gli studi ma soprattutto l’attività in piscina dove si segnala presto come un vero asso. Continua anche a studiare (questa volta giurisprudenza) e viene notato dal cinema nel pieno della stagione di Hollywood sul Tevere. Grazie al fisico scultoreo, viene scritturato come comparsa in Quo vadis? e poi finisce sul set di Annibale dove non incontra mai il giovane attore Mario Girotti - Terence Hill - che diverrà il suo partner d’eccellenza pochi anni più tardi.
 Tocca a Mario Monicelli affidargli il primo, vero ruolo, quello del manesco Nando in Un eroe dei nostri tempi (1955). Sposa Maria Amato (la figlia del grande produttore Peppino Amato), scrive canzoni ottenendo un discreto successo. Con il cinema la gavetta è lunga e Bud Spencer conquista il ruolo di protagonista nel western Dio perdona io no soltanto nel 1967 grazie a Giuseppe Colizzi. Prima rifiutato per le richieste economiche ma poi arruolato perché risulta il solo adatto alla parte di gigantesco e minaccioso partner del protagonista, Pedersoli incontra qui di nuovo Mario Girotti. I due decideranno di cambiare i propri nomi sui manifesti per attrarre il pubblico e Pedersoli sceglierà il suo in omaggio alla birra Bud e all’adorato Spencer Tracy. Lo chiamavano Trinità (del 1970) consacra il successo personale del duo. Il pubblico adotta la strana coppia che reciterà insieme in sedici film.
 «In Italia io e Terence Hill semplicemente non esistiamo», si lamentava negli ultimi anni, «nonostante la grande popolarità che abbiamo anche oggi tra i bambini e i più giovani. Non ci hanno mai dato un premio, non ci invitano neppure ai festival». Lui che era amato dal grande pubblico, non amava gli snob. L’ultima apparizione in tv era stata nel 2010 con I delitti del cuoco, fiction di Canale 5. E l’anno scorso era stato festeggiato a Napoli con una medaglia e una targa per la carriera che gli aveva consegnato il sindaco De Magistris. Il suo film preferito in coppia con Terence Hill era Più forte ragazzi. «Io e Terence interpretavamo due piloti d’aereo. Dopo quell’esperienza decisi di prendere il brevetto di volo. Avevo anche fondato una compagnia aerea, la Mistral Air, ma è durata poco». Spiegava che il successo dei film era dovuto agli schiaffi: «Chi di noi non ha qualcuno, sul lavoro o nella vita, che vorrebbe menare? Tutti. In quei film lo faccio e la gente s’immedesima. Io e Terence siamo rimasti amici, non abbiamo mai litigato. Sarà anche perché lui è un attore vero, mentre io sono un intruso, uno che al cinema è arrivato per caso». Il pubblico ringrazia.
 Dalle Olimpiadi (Helsinki ’52 e Melbourne ’56, chiuse con l’agonismo ai giochi olimpici del 1960 a Roma) al set, sempre con naturalezza. Un Apollo in vasca, era un bellissimo ragazzo, per il cinema diventa il gigante buono amato dal grande pubblico: nato in una famiglia borghese, amava la vita avventurosa. Quando decide di dare una svolta, dopo che si era trasferito a Roma, spiega semplicemente che «era stanco della vita ai Parioli (quartiere bene della capitale, ndr) ». Accanto al cinema popolare, con successi come Lo chiamavano Trinità, c’è stato spazio per il thriller (diretto da Dario Argento in Quattro mosche di velluto grigio), per il cinema d’autore con Ermanno Olmi e persino per il dramma di denuncia civile con Torino nera di Carlo Lizzani.
 Il padre è un uomo d’affari e la famiglia finisce a Rio de Janeiro: Pedersoli fa l’operaio, il bibliotecario, il segretario d’ambasciata. Tornato a Roma, può riprendere gli studi ma soprattutto l’attività in piscina dove si segnala presto come un vero asso. Continua anche a studiare (questa volta giurisprudenza) e viene notato dal cinema nel pieno della stagione di Hollywood sul Tevere. Grazie al fisico scultoreo, viene scritturato come comparsa in Quo vadis? e poi finisce sul set di Annibale dove non incontra mai il giovane attore Mario Girotti - Terence Hill - che diverrà il suo partner d’eccellenza pochi anni più tardi.
 Tocca a Mario Monicelli affidargli il primo, vero ruolo, quello del manesco Nando in Un eroe dei nostri tempi (1955). Sposa Maria Amato (la figlia del grande produttore Peppino Amato), scrive canzoni ottenendo un discreto successo. Con il cinema la gavetta è lunga e Bud Spencer conquista il ruolo di protagonista nel western Dio perdona io no soltanto nel 1967 grazie a Giuseppe Colizzi. Prima rifiutato per le richieste economiche ma poi arruolato perché risulta il solo adatto alla parte di gigantesco e minaccioso partner del protagonista, Pedersoli incontra qui di nuovo Mario Girotti. I due decideranno di cambiare i propri nomi sui manifesti per attrarre il pubblico e Pedersoli sceglierà il suo in omaggio alla birra Bud e all’adorato Spencer Tracy. Lo chiamavano Trinità (del 1970) consacra il successo personale del duo. Il pubblico adotta la strana coppia che reciterà insieme in sedici film.
 «In Italia io e Terence Hill semplicemente non esistiamo», si lamentava negli ultimi anni, «nonostante la grande popolarità che abbiamo anche oggi tra i bambini e i più giovani. Non ci hanno mai dato un premio, non ci invitano neppure ai festival». Lui che era amato dal grande pubblico, non amava gli snob. L’ultima apparizione in tv era stata nel 2010 con I delitti del cuoco, fiction di Canale 5. E l’anno scorso era stato festeggiato a Napoli con una medaglia e una targa per la carriera che gli aveva consegnato il sindaco De Magistris. Il suo film preferito in coppia con Terence Hill era Più forte ragazzi. «Io e Terence interpretavamo due piloti d’aereo. Dopo quell’esperienza decisi di prendere il brevetto di volo. Avevo anche fondato una compagnia aerea, la Mistral Air, ma è durata poco». Spiegava che il successo dei film era dovuto agli schiaffi: «Chi di noi non ha qualcuno, sul lavoro o nella vita, che vorrebbe menare? Tutti. In quei film lo faccio e la gente s’immedesima. Io e Terence siamo rimasti amici, non abbiamo mai litigato. Sarà anche perché lui è un attore vero, mentre io sono un intruso, uno che al cinema è arrivato per caso». Il pubblico ringrazia.

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Massimiliano Castellani per Avvenire
Se ne va per sempre il gigante buono del cinema. A Roma in un ospedale si è spento l’86enne Carlo Pedersoli, meglio noto, dai piccoli ai grandi, come il mitico Bud Spencer. Oltre sessanta film in carriera e una popolarità internazionale che pochi altri attori contemporanei possono vantare. «In Germania mi conoscono meglio che in Italia», disse orgoglioso in una recente intervista rilasciata ad Avvenire. «A Budapest invece ero noto come Pedersoli, il centravanti del “Settebello”, la Nazionale di pallanuoto in cui ho giocato e che per la prima volta andò a vincere a Budapest ». Per sette anni è stato campione italiano stile libero, ha preso parte a due Olimpiadi (nel 1952 e nel ’56) e alla passione per lo sport conciliava anche quella per lo studio. «A 16 anni credo di essere stato il più giovane universitario d’Italia, facoltà di Chimica. Più tardi mi sono iscritto a Giurisprudenza e poco tempo fa a Sociologia per spronare mia figlia. Ma non mi sono mai laureato in niente...». Studi interrotti per andare a lavorare in Sudamerica. Una giovinezza avventurosa, ma il cinema, «a parte una comparsata in Quo Vadis», era ancora una chimera negli orizzonti dell’olimpionico Pedersoli. «Ho smesso con il nuoto dopo i Giochi di Roma ’60, quando mi sono sposato con Maria Pia che mi sopporta da più di mezzo secolo. È la mia “segretaria” e mi ha dato tre figli dai quali sono nati cinque nipoti. E per fortuna nessuno di loro ha seguito le mie orme». Le orme del “Piedone”, n° 47 di scarpa, atterrato per caso con il suo brevetto da elicotterista nel mondo di celluloide, che non ha più abbandonato. In piena era “spaghetti western” Bud Spencer faceva il suo debutto sul grande schermo ne Il cane, il gatto e la volpe di Giuseppe Colizzi che faceva il verso a Il buono, il brutto e il cattivodi Sergio Leone. «Il mio nome d’arte? Bud in inglese significa “bocciolo” e Spencer è un omaggio al mio attore preferito, Spencer Tracy. Lui sì che è stato un grande. Io non mi sono mai sentito un attore, ma semplicemente un personaggio. Titolo pur sempre rispettabile che mi diede Mario Monicelli, il quale una volta disse a Vittorio Gassman: “A Vittò, tu sei un bravo attore, ma resti attore”». Con la voce calda e pastosa prestatagli da Glauco Onorato, il personaggio Bud Spencer, con le prime tre pellicole di Colizzi Dio perdona... io no!, Con I quattro dell’Ave Maria, La collina degli stivali e Lo chiamavano Trinità di E.B. Clucher, alias il romanissimo Enzo Barboni, sbancò al botteghino, in coppia con il fraterno Terence Hill, anche lui alias Mario Girotti. «Litigando con la moglie, Peter Martel si ferì e così Colizzi chiamò questo ragazzo che aveva recitato già con Visconti nel Gattopardo. È cominciato tutto per caso, ma io e Terence Hill siamo ancora oggi l’unica coppia del cinema che non ha mai litigato. Mario Girotti è un grande attore e una persona di un’umiltà incredibile». Una coppia inossidabile imitata e amata, “santificata” anche nei cineforum parrocchiali. «La Chiesa ci ha capito subito, apprezzando il fatto che nei nostri film non si vede mai una goccia di sangue per terra e tanto meno un morto. Sono un cattolico che ha la necessità di credere». Il messaggio di un uomo che è stato patron dell’Unesco, e testimonial Unicef. Con il fido Terence Hill ha vinto un David di Donatello alla carriera, nel 2010, ma l’Oscar continuava a riceverlo ogni giorno da una giuria speciale. «Il premio più importante me lo hanno sempre dato i bambini di tutto il mondo, che appena mi vedono mi corrono incontro e vogliono farsi la foto con il loro amico Bud Spencer». Mancherà a tutti, ma soprattutto a loro, i più piccoli.