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 2016  giugno 27 Lunedì calendario

Il caso della Compagnia di San Paolo e di Francesco Profumo

Mi metto – indegnamente – nei panni di Francesco Profumo, già ministro dell’Istruzione del governo Monti, ex Rettore del Politecnico di Torino, attuale presidente della Compagnia di San Paolo sotto la Mole. Abituato alla deferenza universale, è ora rifiutato dal nuovo sindaco di Torino, la pentastellata Chiara Appendino, che gli ha ingiunto di lasciare la fondazione bancaria. Niente di personale – questo il succo della pedata – ma siccome sei presidente di San Paolo per un capriccio del mio predecessore, il pd Piero Fassino, che ti ha nominato a ridosso della sconfitta elettorale, ora te ne vai perché non mi rappresenti. Sa di spoil system ma non fa una grinza. Il sessantatreenne professor Profumo è comunque esterrefatto. Ma come – immaginiamo si sia detto -, questa pischella di 31 anni mi tratta come un “pistola” mentre dovrebbe baciare la poltrona su cui siedo e sentirsi onorata di confermarmela.
Hanno ragione entrambi. Il torto è di Fassino che, convinto di succedere a se stesso, ha fatto la nomina senza aspettare il responso elettorale. Ma anche qui, come non capirlo Piergrissino? Nei suoi cinque anni, era stato ininterrottamente il sindaco metropolitano più amato d’Italia. Tutti a dirgli che aveva fatto un lavoro splendido, bella la città, risanato il bilancio, moltiplicato il turismo, ecc. Allora, perché criticarlo se dava per scontato di restare e muoveva le pedine anticipando il domani? Qualche voce, però, si era levata quando cinque settimane fa prese la decisione Profumo. Prima dei grillini, ad ammonirlo erano stati all’unisono i suoi sfidanti di sinistra Giorgio Airaudo, e di destra, Alberto Morano: «Chi vincerà, se non vincerà Fassino, si troverà a trattare con un partner fondamentale per il comune nominato da un altro». Profetici.
Ma ora la frittata è fatta e il pallino ce l’ha in mano Profumo. Il vantaggio del professore è che la benefica Fondazione San Paolo (versa centinaia di milioni l’anno a vantaggio dei torinesi) è del tutto autonoma, nonostante i legami con le istituzioni cittadine. La sindachessa Appendino non può dunque imporgli nulla, tranne stargli col fiato sul collo ma sono cose che non si addicono a una signora. Profumo deve però farsi una domanda: l’avvento grillino è una sconfitta del solo Fassino o l’avviso di sfratto all’intero “sistema Torino”? Se è il sistema che crolla – penso io – Profumo, che ne è parte, deve fare un passo indietro.
Ogni volta che gli ex comunisti sono arrivati al governo di una grande città hanno cercato di mantenere il potere possibilmente in eterno. Lo hanno fatto creando un “sistema” o “modello”. Valter Veltroni firmò il “modello Roma”. Un’ammucchiata di interessi forti di destra e sinistra, cementata dal volemose bene, su cui il sindaco regnava e Roma languiva. Palazzinari e centri sociali prosperavano, i cittadini inciampavano nelle buche. Durò un decennio, poi il giochino si ruppe.
Il sistema Torino nacque nei primi anni ’90 con la giunta di Valentino Castellari. Si eternò con Sergio Chiamparino e Piergrissino. Il pivot della faccenda fu l’Avvocato. La Fiat andava male e gli Agnelli intravedevano ciò che poi è avvenuto: lasciare Torino. Una catastrofe per la città che viveva sull’auto. Per non finire impiccata sul pennone, la famiglia studiò come abbandonare Torino senza precipitarla nel caos. L’idea fu questa: trasformarla da città industriale in città anche d’arte, cultura, turismo. E, nelle more, filarsela. L’Avvocato cercò la sponda nelle giunte di sinistra e propose il patto: voi favorite la mia fuga e mettete Torino in grado di sopportarla; in cambio io vi appoggio, schiero con voi la città che conta e metto a disposizione il mio giornale, La Stampa, perché vi elogi. Prima di morire, Agnelli fece il possibile, per dare a Torino le Olimpadi invernali (2006) che furono il battesimo della metropoli post industriale.
Del sistema fanno parte tutte le preminenze cittadine, dal Cottolengo, ai teatri Regio e Stabile, alla Fondazione Cassa di Risparmio, alla Compagnia San Paolo di cui Profumo è presidente, al Politecnico di cui Profumo è stato a lungo Rettore. Questo per dire, che il professore è un cardine del sistema. Da questa logica, si è invece tirata fuori la Curia. Col suo arrivo nel 2011, Cesare Nosiglia si è trasformato in una spina -sia pure arrotondata- nel fianco del potere politico piddino. Mentre nomenclatura e giornale cittadino vedevano rosa, l’Arcivescovo mise meno di un anno a capire e a denunciare la povertà delle periferie, le più danneggiate dalla fine dell’indotto industriale. Nel novembre del 2015, scesero addirittura in piazza tutti i vescovi piemontesi per parlare della disagio dell’altra metà di Torino. Il povero Fassino, che in realtà molto non poteva fare e quel che poteva ha fatto, non intuì la miccia che si era accesa sotto la sua poltrona. Di qui, il crollo a favore del grillismo. Ma la domanda per Profumo resta sospesa: è solo Piero che cade dal pero o è il sistema tutto che ha fatto il botto?
In attesa che il Prof trovi una risposta, vorrei tesserne l’elogio anche con l’obiettivo di ammansire la sindachessa che l’ha preso di mira. Mezzo ligure di Savona e mezzo piemontese, per via della moglie, Anna, insegnante liceale di Alba (Cn), Francesco dopo la laurea in Ingegneria elettronica al Poli torinese si impiegò presto per mantenere la famiglia. La coppia, infatti, ebbe in fretta tre bambini e l’occasione di entrare all’Ansaldo di Genova fu subito afferrata dal neo ingegnere. Il suo amore però restava la ricerca e l’università.
Dopo sette anni di Ansaldo, il suocero, primario medico di Alba, gli disse: «Se lo studio è la tua vocazione, seguila. Ti do una mano io». Si apprezzerà appieno la generosità, sapendo che figlia e genero gli avevano dato un grosso dispiacere all’inizio del matrimonio. Nonostante li avesse scongiurati di non farlo, avevano preso l’aereo per il viaggio di nozze in Brasile. Il primario albese aveva infatti in odio l’aviazione dopo una tremenda esperienza: era stato di turno al Pronto Soccorso il giorno del 1949 in cui affluirono le vittime dello schianto del Grande Torino sul Colle di Superga. Dopo dieci anni al Politecnico torinese, Profumo divenne nel 1995 ordinario di Macchine e Azionamenti elettrici. Dieci anni dopo era Rettore. Il globalismo scientifico è la sua stella polare. Privilegia Usa, Giappone, Cechia, Argentina. Ma il suo debole è la Cina. Ci va lui, ci manda i suoi studiosi, ne fa venire a Torino e ha spalancato il Politecnico agli studenti del Celeste Impero. Si trasferì un po’ ovunque con l’intera famiglia per stage, corsi, scambi, inoculando il virus nei figli che oggi, laureati, sono sparsi per il vasto mondo.
Ha un repertorio di frasi che illustrano il suo ottimismo scientifico, sciorinate nei quindici mesi passati all’Istruzione col governo Monti. «Fate esperienze all’estero – ha detto agli studenti – per poi ritornare in Italia e restituire al Paese quanto di meglio avete imparato». Poichè, all’epoca, c’era uno spread da cavallo ed eravamo tutti mogi, se ne uscì ilare: «La crisi è la più grande benedizione per le persone e per le Nazioni». Trascinato via dai barellieri, riuscì ad aggiungere: «La crisi è progresso. Sprona l’inventiva, le scoperte, le grandi strategie». Della serie: inabissiamoci per risorgere.
Apprezzato per questo dinamismo, Profumo è stato corteggiato da destra e sinistra. Per la sinistra, stava per diventare sindaco di Torino dopo Chiamparino (2011). Ci ripensò all’ultimo, dando via libera a Fassino. Per la destra divenne, nello stesso anno, presidente del Cnr, designato dal Governo del Cav. Poi se lo accaparrò Monti, Max D’Alema lo cooptò in Italianieuropei, è stato nel cda Telecom, in quello Pirelli ed è vicino al cardinal Bagnasco. Più segreta è la sua appartenenza a un’esclusiva associazione di rito albese. Una massoneria locale detta Confraternita del bollito e della pera madernassa. In cui il bollito – scaramella, punta di petto, fiocco di punta, cappello da prete, tenerone e culatta – è quello del bue d’Alba o di Carrù. E la pera un cultivar locale, morbida e soda insieme. Banchetto una volta l’anno. Se posso permettermi, professore, inviti la sindachessa e provi a fare pace. Ci guadagnerà Torino.