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 2016  giugno 27 Lunedì calendario

Il miracolo dei capelli dipinti del Cav. raccontato da Luigi Crespi. Estratti da una lunga intervista

Luigi: sei stato autonomo, militante, sondaggista, consigliere di Berlusconi, imputato, spin doctor, pubblicitario..
«Vero. Ma la sliding door della mia vita è quella che mi ha tenuto lontano dal terrorismo».
Racconta.
«Maggio 1977, Milano. Frequentavo l’area dell’Autonomia Operaia: stavo per entrare nella lotta armata».
Per modo di dire?
«No, per davvero. Tirano una bomba incendiaria a casa mia ma non esplode».
E poi?
«Mi sparano due colpi di pistola in via Celentano. Ancora oggi trovo al tatto i due proiettili infilati nel muro».
Perché?
«Furori giovanili: la rabbia, l’antifascismo militante: lambivo Prima Linea. Avevo 15 anni. La mia fortuna».
In che senso?
«Temporeggiavano. Non mi cooptavano perché ero troppo giovane».
Che succede?
«Mia madre, comunista, è molto preoccupata. Una sera mi dice: “Vieni a vedere Pannella in Tv!”».
E ti cambia la vita?
«Ipnotizzato. Contrappone la bellezza dello stare insieme e la non violenza, alla lotta armata. Mi colpisce a tal punto che mi iscrivo al Pci».
Non ai Radicali?
«Psicanaliticamente era un ritorno alla famiglia. Anni dopo Pannella si arrabbierà: “Ma scusa, tu resti incantato da un mio comizio e ti iscrivi al Pci? Sei un assoluto coglione”. Aveva ragione».
Nel tempo del tripolarismo in cui bisogna riscrivere tutte le mappe della politica, per capire che aria tira, ascolto uno come Luigi Crespi. La sua è una storia un po’ americana: inizi ribellistici, giovinezza comunista, vita professionale Berlusconiana, poi tracollo giudiziario, resurrezione. Oggi si occupa “di creare valore attraverso la formazione e la comunicazione”, ma resta un analista politico doc. (…)
(…) «È il 1995 e sto andando incontro alla prima tragedia della mia vita: le bandierine».
Come accadde?
«Mi chiama Emilio Fede: “Mi fai gli exit poll?”. Servono un sacco di soldi, gli dico. E lui: “Ti do 150 milioni”. Gli rispondo che con quei soldi al massimo posso farti gli “in house poll”: telefonate a casa».
Che accade dopo?
«La struttura della mia società è acerba, i soldi pochi, l’entusiasmo politico di Fede incontenibile. Si produce quella sceneggiata che è arrivata da Blob alla Corea».
Racconta.
«Iniziamo al Tg4 con le bandierine azzurre su tutte le regioni, a fine serata sono tutte rosse».
Ah ah ah....
«Il giorno dopo Funari mi licenzia in diretta: “Crespi? Non lo vedrete più”».
Era arrabbiato.
«Vengo massacrato, deriso, perdo metà fatturato. La mia vita è finita».
E come risorgi?
«Berlusconi! Dice: “Quei sondaggi erano la verità: la Sinistra ha fatto i brogli!”».
Lo incontri?
«In campagna elettorale: seguivo Ciaurro a Perugia. Berlusconi tarda tre ore. Intrattengo la platea, e poi lo accolgo. Finisce la serata e mi dice: “Vieni ad Arcore!”».
E tu corri?
«No. Mi pareva una frase di cortesia».
Sei matto?
«Ma era un destino. Nel 1996 affonda una chiatta di albanesi. Lui va lì e piange».
E tu che c’entri?
«Facevo sondaggi in Rai: noto che l’opinione valuta le lacrime positivamente».
E che succede?
«Mi chiama Niccolò Querci: “Il dottore vuole vederla”».
Stavolta ci vai.
«Di corsa. Mi dice: “Noi dobbiamo collaborare. Ho capito che lei vale il giorno delle bandierine: l’unico ad avere il dato giusto”».
Che periodo era?
«Il 1996: Prodi ha vinto. Berlusconi si vede nell’angolo. Faccio con lui la traversata del deserto».
Facevate molti spot.
«Così efficaci che D’Alema si inventò la par condicio per bloccarli».
Ed è qui ti guadagni lo stipendio.
«Gli propongo di sostituire la Tv con campagne di affissione legate a eventi: dei veri e propri tazebao i famosi 6X3. Il suo grafico, Ermolli, metteva tutte queste foto di Berlusconi ritoccando i capelli...».
E tu?
«Mi disperavo: “È ridicolo. La gente la vede calvo e poi sul poster la trova così”».
E Berlusconi?
«Hai ragione. Ma non togliamoli dai manifesti: me li rimetterò io!”».
“Una scelta di campo”?
«Era suo. Non mi è mai piaciuto. La nave azzurra pure, idea sua».
Siamo alle Politiche 2001, cosa gli proponi?
«Un poster con lo slogan: “Meno tasse per tutti”. Lui lo guarda e dice: “Geniale: com’è possibile che in 50 anni nessuno ci abbia pensato?”».
E il contratto con gli italiani?
«È entrato nel mito, ma l’originalità è stata nella confezione di quell’idea: un imprenditore che sigla un vero contratto con gli elettori. Gli dissi: “Deve firmarlo a San Siro, solenne, davanti a centomila persone”».
E cosa non andò?
«Berlusconi lo raccontò a Vespa che gli disse: “Ottimo. Ma lo firmi da me”. Ero furibondo. Ma è stato meglio Porta a porta. Serviva la tv». (…)