Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 27 Lunedì calendario

Brexit, il ruolo della Merkel e quello di Draghi

La Gran Bretagna non si chiuderà all’Europa e al resto del mondo. È un Paese da oltre 150 anni aperto ai mercati (in forme diverse), alle idee, alla scienza e alle persone. Avrà enormi problemi nei prossimi anni, in economia e anche sul piano istituzionale, la Scozia potrebbe andarsene dal Regno Unito. Ma non si chiuderà in un nazionalismo cieco, il free market in economia e nel pensiero è parte del Dna del Paese.
Questa è forse l’unica previsione abbastanza certa, nelle ore caotiche del dopo referendum sulla Brexit. Il resto, soprattutto le conseguenze di breve e lungo periodo sul resto dell’Europa, sono questioni del tutto aperte. E di grande portata.
L’establishmentC’è un elemento che apre due finestre, sul cosa è successo e su cosa la Ue deve affrontare ora: i mercati che sono andati per i prati, fino all’ultimo momento, giovedì, praticamente certi che il Remain avrebbe vinto. Racconta innanzitutto l’incomprensione di quello che stava succedendo.
Abbiamo avuto mesi di analisi sui pericoli per l’economia britannica dall’uscita dall’Unione europea, numeri e grafici spesso esagerati e finalizzati a spaventare. Editoriali per spiegare l’irrazionalità del Leave. I cittadini, buona parte di loro, pensavano ad altro. Alle preoccupazioni per la propria vita, probabilmente alla propria identità nazionale; soprattutto, hanno vissuto l’irritazione nei confronti dell’establishment di Londra e di Bruxelles.
Un voto contro le élite: e come parte integrante del modo di pensare e vedere il mondo da parte delle élite, i mercati non hanno visto la valanga arrivare.
Questa è anche la realtà che Londra e le capitali europee devono affrontare subito e nei prossimi mesi, forse anni: l’evento sismico avrà una lunga coda.
La rivolta contro gli establishment è in azione quasi ovunque, dalla Francia all’Italia, dall’Olanda all’Austria, in parte anche in Germania. Ora, l’insoddisfazione con le classi dirigenti europee potrebbe trovare una prospettiva politica nell’imitazione del Regno Unito. Prospettiva terribile ma che sarebbe rischiosissimo spazzare sotto al tappeto.
La crisi Brexit arriva nel momento peggiore per l’Europa, si aggiunge a quelle economica, dei rifugiati, di sicurezza, con la Russia. La risposta immediata dei leader è importante: ma sarà ciò che succede nelle prossime settimane a definire il futuro del Vecchio Continente.
Continente e Ue che sono sempre restii a cambiare ma che ora saranno costretti a farlo.
Le banche centraliL’intervento sui mercati della Bce, della Bank of England e delle altre banche centrali nei giorni scorsi è stato essenziale e probabilmente lo sarà anche questa settimana. Le armi a disposizione di Mario Draghi per affrontare attacchi mirati su Paesi deboli dell’Eurozona sono potenti e, se necessario, il presidente della Bce altre ne troverà. Il grande problema, ora, è veramente tutto politico.
Con le elezioni in Francia, Olanda e Germania l’anno prossimo e il referendum costituzionale in Italia quest’autunno, i maggiori governi sono in qualche modo in gioco. Per affrontare il passaggio più delicato e pericoloso, ma potenzialmente anche pieno di opportunità di cambiamento, servirebbe una leadership chiara, non solo di persone, ma soprattutto di prospettiva politica. Al momento, non si vede quale possa essere e da dove possa arrivare.
Tecnicamente, l’uscita di Londra è per ora annunciata. Per realizzarla serviranno almeno due anni e in quel periodo molto potrà succedere. La risposta politica dell’Europa, però, dovrà arrivare in fretta.
E probabilmente dovrà partire da un dato di realtà che il referendum britannico ha implicitamente sottolineato: non siamo negli Anni Settanta, quando il Regno Unito votò sì alla Ue. Allora, i mercati mondiali erano chiusi, protetti. I movimenti di capitale controllati dai governi. Le aperture e le regole della Wto (allora Gatt) non c’erano. La globalizzazione non era nemmeno iniziata.
Stare in un mercato come la Comunità economica europea era un grande vantaggio. Oggi, l’economia è aperta, in gran parte le barriere sono cadute.
Non solo: l’Europa unita che ha garantito la pace in un Continente che nel secolo scorso ha vissuto due guerre mondiali oggi non è più vista in quella luce dalle opinioni pubbliche; difficile pensare a guerre europee, oggi. Il mondo, insomma, è del tutto cambiato ed è da questo che i governi europei dovrebbero partire.
Il pericolo paralisiSaprà e potrà la Germania, il Paese chiave d’Europa, prendere una leadership? Angela Merkel cercherà di farlo innanzitutto assieme alla Francia ma anche agli altri Paesi. Non sarà facile: non solo per gli appuntamenti elettorali in arrivo ma, più al fondo, perché la questione della leadership tedesca è un problema in Germania (i cittadini non la vogliono) ed è un problema per il resto d’Europa che in qualche modo la teme.
Il rischio di paralisi è reale. Il test è enorme per il Regno Unito. Ancora maggiore per il resto d’Europa.
C’è però una bussola che gli europei possono seguire: da un momento di grande democrazia, se riconosciuto come tale, possono uscire buone cose.