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 2016  giugno 27 Lunedì calendario

Addio ruspanti, sulle tavole arrivano solo turbo-polli

Una formidabile macchina biologica per produrre carne. Chi pensa alle galline di una volta, quelle che razzolano per cortili e cascine e che ormai è più facile vedere nei film che nella realtà, è davvero fuori strada. Sulle nostre tavole, in oltre il 90% dei casi, finiscono i cosiddetti broiler, selezionati con attenti incroci genetici da un pugno di multinazionali (due, Aviagen e Cobb-Vantress, controllano tre quarti del mercato), che li vendono agli allevatori con tanto di manuale come se si trattasse di macchine utensili. Le istruzioni contenute nei libretti d’uso stabiliscono e regolano temperatura, luce, nutrimento, ogni aspetto della vita dell’animale. In compenso garantiscono un rendimento che ha dell’incredibile: nel corpo di questi turbo-polli 1,6 chili di mangime ingurgitato si trasformano in un chilogrammo di carne. Un dato che non ha uguali per altri tipi di allevamento.
I «modelli» più diffusi (non sembri strano l’uso del termine) si chiamano Cobb 500 e Ross 308. Un paio d’anni fa alcuni ricercatori canadesi hanno confrontato proprio la crescita di un gruppo di Ross 308 con le razze più diffuse all’inizio degli anni Sessanta. In cinque decenni la velocità di crescita è aumentata di 4 volte. Proprio questa efficienza nell’utilizzare ogni grammo di nutrimento ha consentito di mantenere bassissimi i prezzi: negli anni tra il 1960 e il 2010 il prezzo della carne di pollo è aumentato della metà rispetto ad altri prodotti alimentari. Negli Usa il basso costo ha contribuito in maniera decisiva al boom dei consumi: l’americano medio mangia addirittura 70 chili di pollo l’anno (per fare un confronto gli italiani si fermano a poco meno di 20). I consumi hanno superato quelli di carne di maiale e sono praticamente allo stesso livello di quelli di carne rossa. Lo stesso fenomeno sta accadendo a livello mondiale.
Al momento, secondo il settimanale The Economist la maggior fonte di nutrimento del pianeta è ancora il maiale: ogni anno se ne consumano 114 milioni di tonnellate contro i 106 di carne di pollo. Il consumo di quest’ultima, però, cresce di più (2,5% annuo contro 1,5%). Entro il 2020, dunque, è previsto il sorpasso. Con innegabile giovamento per l’ambiente, visto che il pollo garantisce, come detto, tassi di efficienza nella trasformazione alimentare molto più alti rispetto, per esempio, alla carne rossa (per allevare una mucca bisogna per esempio sacrificare una quantità spropositata di cereali).
Certo non si parla più dei polli di una volta, che potevano vivere fino a 15 anni e che in molte religioni, come in quella degli antichi germani o in quella romana, godevano di uno status quasi religioso. Ancora negli anni Sessanta ci volevano in media due mesi perché un pollo raggiungesse il chilo di peso e fosse pronto alla macellazione. Adesso in 33/35 giorni le razze migliori superano gli 1,6 chili e vengono immesse sul mercato. Alla svelta. Perché il tempo è denaro. E anche perché, almeno secondo le associazioni animaliste, le razze sono state selezionate per rendere di più (soprattutto più carne di petto, ambitissima dai consumatori), ma la selezione genetica ha fatto perdere ogni equilibrio nei processi di accrescimento. Se non li si ammazza subito i poveri polli sono destinati a morire di morte naturale. Colpa di una serie infinita di patologie cardiache e scheletriche.