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 2016  giugno 27 Lunedì calendario

I giapponesi costruiranno case su Marte grazie a robot muratori

È iniziata la corsa al mattone spaziale: dopo l’annuncio di marzo dell’Esa, ora anche la Jaxa, l’agenzia spaziale giapponese, si lancia nell’impresa di costruire basi sulla Luna, entro il 2030, e su Marte, entro il 2040, stringendo un accordo con la società di tecnologie di costruzione Kajima. Obiettivo: robot autonomi capaci di edificare strutture tramite stampa in 3D. A fine 2015, inoltre, la Russia aveva annunciato di volere una base permanente sulla luna per il 2030. Come ha in programma anche la Nasa, che da inizio giugno sta studiando con la società Made in Space un sistema per muovere, tramite razzi vettori, asteroidi (ricchi di utili materie prime) e portarli, come camion, là dove servono “mattoni”. Denominatore comune: la stampa in 3D.
«Costruire una base lunare o marziana inviando dalla Terra materiali e utensili è improponibile sul piano tecnologico e logistico», spiega a
Repubblica Tommaso Ghidini, capo della sezione Tecnologia dei materiali dell’Esa. «È molto più intelligente spedire una stampante 3D e costruire usando materiali trovati sul posto. Si può fare: come Esa abbiamo già stampato – sulla Terra, ma in condizioni rappresentative – un pezzo di base lunare, di una tonnellata e mezzo, usando un surrogato della regolite lunare».
Ma come si costruisce una base extraterrestre, in luoghi estremi dove l’unico conforto è l’assenza di un piano regolatore? «Prima si invia, sulla Luna o su Marte, un modulo che, appena atterrato, gonfia una calotta simile, per dare un’idea, ai palloni gonfiabili dove giochiamo a tennis d’inverno. Poi, tramite stampanti 3D robotiche che si muovono sulla superficie della calotta, costruiamo le pareti vere e proprie, usando materiali recuperati in loco», spiega Ghidini. «Questa protezione è necessaria contro le due minacce principali: raggi cosmici e micrometeoriti». La costruzione avviene secondo i dettami della stampa 3D: «I robot depositano uno strato di polvere, da indurire prima di aggiungere il successivo», aggiunge Ghidini. «Sfruttiamo il sole: tramite un forno solare, una sorta di lente d’ingrandimento, convogliamo i raggi e “cuociamo” gli strati, compattandoli».
Cose fuori dal mondo, è il caso di dirlo, ma che possono avere utili applicazioni sulla Terra: «Con la stessa tecnologia, dopo catastrofi come tsunami o terremoti, si possono costruire rifugi temporanei per migliaia di persone evitando l’incubo logistico di portare in situ i materiali necessari: basterà riutilizzare le macerie». La 3D spaziale, inoltre, permette il riciclo totale, sogno degli ambientalisti. «Sulla Luna e su Marte – ancora Ghidini – dovremo poter costruire strumenti e pezzi di ricambio, per cui ci serviranno materiali plastici e metallici. Ma li otterremo riutilizzando il modulo lander, che altrimenti rimarrebbe lì come spazzatura. E poi, quando gli oggetti non serviranno più, li riconvertiremo in altri, utili per la fase successiva». O magari in organi e arti sintetici: «Per le missioni di lunga durata e quelle su Marte dovremo poter stampare organi umani: abbiamo già in corso progetti per la stampa 3D della pelle e di organi interni come reni e fegato».
La tecnologia 3D realizzerà anche oggetti mai visti prima: «Non dovremo più portare nello spazio tutti i possibili pezzi di ricambio. Ci basterà poca polvere metallica per stampare il pezzo che serve al momento», conclude Ghidini. «E siccome lì la gravità è zero, potremo costruire in loco piccoli satelliti dalle forme innovative, perché slegate sia dal bisogno di resistere alla gravità che dall’esigenza di “sopravvivere” al lancio dalla Terra».