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 2016  giugno 27 Lunedì calendario

Le armi, i cavalli di razza e gli altri vizi del boss Ernesto Fazzalari

«Fazzalari è un killer spietato, uno di quelli che sparano come i pazzi. E questa non è una deduzione, questo è un fatto signor giudice». Quando il pentito Roberto Comandè parlò di lui al processo “Taurus” a Palmi, Ernesto Fazzalari era già latitante da alcuni anni. Era scappato nel 1996, ancor prima che scattasse l’operazione che avrebbe dovuto portarlo in carcere per farcelo restare all’ergastolo. Aveva annusato l’aria Ernesto “u lentu”, e a dispetto del nomignolo che aveva ereditato dal padre “Turi u lentu”, è sempre stato molto veloce. Svelto e risoluto con la pistola che impugnava con la mano mancina, ma svelto anche di gambe visto che in 20 anni di latitanza in più occasioni è sfuggito alla cattura per un soffio. Quarantasette anni a settembre, Fazzalari ha trascorso metà della sua vita da latitante. Una primula rossa che tuttavia non si è mai allontanata da Taurianova, territorio che lo ha visto crescere come picciotto e sicario degli Zagari. Nel clan “u lento” ci è entrato giovanissimo e non perché predestinato da parentele particolari, ma per amore. Ernesto già a 20 anni aveva perso la testa per Rosita, figlia del boss Rocco Zagari e donna che gli è sempre stata accanto. Anche ieri erano insieme quando i carabinieri di Reggio Calabria li hanno arrestati in una villetta nel cuore dell’Aspromonte. Lui e gli Zagari sono sempre stati una cosa sola.
Un’amicizia antica, prima con i figli di don Rocco e poi con lo stesso boss di cui diventerà alla fine degli anni ’80 autista e guardaspalle. Erano anni di tensioni a Taurianova e il boss, ex consigliere comunale della Dc, andava in giro su una lancia Thema blindata. Nel 1989 le famiglie “Zagari-Viola” si contrappongono agli “Asciutto-Neri- Grimaldi”, si spara per strada per tre lunghi anni. Sul selciato restano 32 persone ed Ernesto Fazzalari è uno dei killer al fianco degli Zagari. I processi diranno che è autore di due omicidi e di due tentati omicidi, per questo verrà condannato all’ergastolo. I pentiti raccontano un’altra storia. Di lui dicono che assieme a Pino Zagari, figlio di don Rocco, ha partecipato a praticamente quasi tutti gli agguati della faida. «Sparavano come pazzi», diranno ai processi. Tant’è che i gruppi di fuoco avversari hanno organizzato contro Ernesto almeno una decina di agguati, sapendo che la sua morte sarebbe stata determinante per l’esito della guerra. Andò diversamente. Il 2 maggio del 1991 Rocco Zagari è seduto sulla poltrona del barbiere, insolitamente da solo. Un killer entra e lo inchioda alla sedia a revolverate. Morto il capo, finita la faida, si era pensato. Invece no. La rabbia degli Zagari si scatenò il giorno dopo. In quello che sarà ricordato come il “venerdì nero” di Taurianova si registrarono quattro morti. Tra le vittime un salumiere, Giuseppe Grimaldi. Quel giorno i killer non si accontentarono di staccargli testa a fucilate, la leggenda dice che uno dei sicari la prese e la lanciò in aria per far fare il tiro al bersaglio al resto del gruppo di fuoco. Dopo quell’episodio fu chiaro a tutti che la faida sarebbe stata vinta dagli Zagari, e i perdenti iniziarono a pentirsi e a vuotare il sacco. Fazzalari è stato processato e assolto per quel massacro, ma non ci sono dubbi che l’eco di quei giorni di sangue è ancora presente a Taurianova. Il super latitante fa ancora paura nella zona. Non era un capo in senso classico, e forse non lo è mai stato in funzione della presenza degli Zagari. Di certo, in virtù del suo rapporto con Rosita (anche se non erano sposati) e della sua fedeltà alla famiglia, era uno ascoltato e temuto. Non sono un caso 20 anni di latitanza e di omertà. È sempre stato astuto “u lentu” sia come killer che come fuggiasco. Di lui si dice che avesse una sola debolezza. Amava i cavalli quando poteva visitava le fiere di tutta Italia. E, ovviamente, amava le armi. Non rinunciava mai a esercitarsi in montagna. Sparava, il mancino, e spariva.