Corriere della Sera, 26 giugno 2016
Davvero siamo alla fine delle previsioni economiche?
In un articolo sul quotidiano americano Wall Street Journal, Robert Altman ha scritto della «fine delle previsioni economiche». In un mondo in cui il desiderio di conoscere prima cosa succederà e dove i cosiddetti scenari futuri entrano in ogni momento nella nostra vita, è un’affermazione interessante. Altman, 70 anni, è fondatore e presidente di Evercore, una investment bank americana, ed è stato vicesegretario al Tesoro nella prima Amministrazione Clinton: sostiene che fare previsioni macroeconomiche è ormai impossibile. Altman nota che, basandosi sulle tradizionali statistiche e serie di numeri, il Fondo monetario internazionale di recente ha sbagliato di non poco le previsioni sull’economia mondiale e su singoli Paesi. Per esempio, nel 2013 aveva previsto una crescita globale del 4,1% e aveva detto che i Pil del Brasile e della Russia sarebbero cresciuti rispettivamente del 4 e del 3,8%. Nella realtà, la crescita mondiale rallenta e le due economie sono in recessione. Meno di due anni fa, la banca Goldman Sachs aveva previsto che i tassi d’interesse americani sarebbero stati attorno al 4%, nel 2016. In realtà, sono allo 0,5%. Stesso discorso per il prezzo del barile di greggio. La Energy Information Administration – agenzia del Sistema statistico federale americano – aveva previsto per il prossimo decennio un prezzo dai 90 dollari in su, con un pavimento minimo nello scenario peggiore a 70 dollari. La realtà è stata una caduta fino a 29 dollari nei mesi scorsi e un prezzo ora inferiore ai 50. Si potrebbero aggiungere le molte banche che prevedevano l’euro svalutarsi sotto la parità con il dollaro e che ora sono tornate sui loro passi (siamo attorno a 1,10). Parecchie altre previsioni sono finite del tutto fuori target.
L’ex vicesegretario di Clinton dice che la ragione dell’impossibilità di prevedere sta nel fatto che la finanza ha effettuato un takeover del mondo tradizionale. Nota che gli asset globali detenuti oggi da investitori professionali ammontano all’incredibile cifra di 75 mila miliardi di dollari. Denaro che si muove in continuazione, modifica tutto non sulla base dell’economia reale ma della ricerca di rendimenti. «La finanza rappresenta oggi la forza più potente sulla terra, anche più delle armi nucleari», scrive Altman. Probabilmente esagera. Certo è che trovare una relazione tra numeri e macroeconomia è sempre più difficile. Proprio nell’era del Big Data.