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 2016  giugno 26 Domenica calendario

In morte di Giuseppe Ferrara

Fulvia Caprara per La Stampa
La denuncia innanzitutto, a costo di farsi nemici, di scatenare polemiche, anche di impelagarsi in complesse avventure giudiziarie. Giuseppe Ferrara, nato a Castelfiorentino il 15 luglio del 1932 e scomparso ieri a Roma per arresto cardiaco, aveva esordito nel 1970 con Il sasso in bocca e, da allora, aveva dedicato la sua intera carriera al cinema civile, inteso soprattutto come veicolo di ricerca e diffusione di verità alternative a quelle unanimemente acclarate. 
Fondendo i linguaggi della finzione e del documentario (la prima parte della sua attività, dal 1960, si era concentrata proprio su questo genere) Ferrara aveva descritto in Panagulis vive la figura dell’eroe nazionale greco. 
Nell’84 aveva ricostruito, in Cento giorni a Palermo, protagonisti Lino Ventura e Giuliana De Sio nei panni di Emanuela Setti Carraro, l’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Poi era stata la volta del Caso Moro con Gian Maria Volontè nel ruolo dello statista rapito e ucciso dalle Brigate Rosse. Prima di tornare al documentario, con Il caso Nicaragua, Ferrara tentò a lungo di realizzare il film su Roberto Calvi che diventerà realtà solo anni dopo. 
Nel 1993 firma Giovanni Falcone e due anni più tardi Segreto di Stato (Ustica e la strage di Bologna) su soggetto di Andrea Purgatori. 

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Leonardo Jattarelli per Il Messaggero

Si è spenta ieri sera a Roma una delle ultime voci del cinema civile italiano; il regista Giuseppe Ferrara se n’è andato a causa di un arresto cardiorespiratorio. Malato da tempo, era stato ricoverato al Policlinico Umberto I, il 15 luglio avrebbe compiuto 84 anni. Da Il sasso in bocca a Cento giorni a Palermo, da Il Caso Moro a I Banchieri di Dio, tutta la filmografia del regista nato a Castelfiorentino è sempre stata orientata al cinema d’impegno e di inchiesta sulla storia d’Italia.
Quando nel 2002, sul set della sua pellicola sul caso Calvi gli chiedemmo Perché oggi un film su Calvi? la risposta fu chiara e amara, ma sempre lucida come si addice a chi della Storia si è sempre fatto testimone critico: «Perché l’Italia è un Paese senza memoria - rispose - come diceva Sciascia, e allora è bene richiamare alla mente e far conoscere certi accadimenti che, nello specifico del caso Calvi, lasciano ancora molte zone d’ombra». 
Per Ferrara il cinema era non solo un atto di coraggio ma «una missione. Non spreco pellicola in autobiografie ma mi dedico da sempre alla rievocazione di fatti e persone che in qualche modo hanno scritto la Storia» disse sempre in quell’occasione: «Così è stato per il mio film su Moro come per quello su Giovanni Falcone». Personaggi sempre riconoscibili nei suoi film: amava dire: «Io documento, offro con le immagini il senso della verità»
Il suo impegno inizia già negli anni 60 attraverso la radio con l’insegnamento sul cinema, un ciclo di lezioni sul Neorealismo italiano e con la pubblicazione di libri su Visconti e Rosi, forse il suo collega più amato.
Già nel 65 firma Le Streghe a Pachino, una inchiesta sull’omertà mafiosa in Sicilia e poco più tardi con Cesare Zavattini compone un progetto collettivo che si propone di «indagare sulla realtà». E scrive: «Con Zavattini il concetto diventa: liberiamo la macchina da presa dal cavalletto perché diventi un testimone che sta nel reale, che vive la realtà partecipandovi e muoviamoci dentro ai fatti. Dunque, macchina a mano». Sono le basi per quello che diventrà il suo cinema civile, prima con Il sasso in bocca, poi con Faccia di spia nel 75 nel quale si muove dal suicidio di Pinelli al colpo di Stato in Cile all’omicidio Kennedy. Cinque anni dopo, porta sullo schermo l’eroe greco Panagulis vittima del regime dei colonnelli attraverso una miniserie tv. 
Arriva nell’ 84 Cento giorni a Palermo, forse la sua pellicola più celebre, nella quale Ferrara affronta di nuovo il dramma mafia occupandosi dell’assassinio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa interpretato da Lino Ventura per poi, due anni dopo, immergersi ne Il caso Moro con la ricostruzione del più sconcertante delitto della storia politica del nostro Paese.

Dopo un documentario sul Nicaragua tornato alla libertà alla caduta del dittatore Somoza, Ferrara nel 93 gira Giovanni Falcone nel quale la fiction viene irrobustita da spezzoni documentaristici come quello dello sterminio della famiglia del pentito Marino Mannoia. 
E se in Segreti di Stato il regista, su un soggetto di Andrea Purgatori, ricostruisce la misteriosa vicenda della caduta del DC-9 Itavia vicino all’isola di Ustica nell’estate dell’80, dopo I banchieri di Dio già citato girerà Guido che sfidò le Brigate Rosse continuando il suo on the road alla ricerca della verità.