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 2016  giugno 25 Sabato calendario

Pensateci bene prima di dire «ti amo» (o prima di non dirlo più)

«L et’s give them another one. I love you. One more kiss». Il labiale del principe William, affacciato dopo le nozze al balcone per il saluto ai sudditi, è stato studiato all’osso. E non c’è dubbio: al colmo della felicità ha chiesto un altro bacio alla sua sposa, e per farlo ha usato quelle che il Guardian definisce «le tre parole che non dovremmo mai smettere di pronunciare».
Nel libro best seller «Amore Liquido» (Laterza), Zygmunt Bauman spiega che «in ogni amore ci sono almeno due esseri, ciascuno dei quali è la grande incognita delle equazioni dell’altro». Per questo, dire ti amo può aiutare a semplificare i conti. Ma in realtà, dall’inizio alla fine di una relazione, non è mai semplice farlo. «Se lo dici troppo presto dai l’aria del disperato, se lo dici troppo tardi rischi di perdere l’attimo e aver sperperato un patrimonio sentimentale», avverte il Daily Mail. Fino all’iperbole finale: «dire ti amo può creare o distruggere un rapporto». Ne discende un corollario di regole: mai dirlo dopo il sesso (potrebbe essere pura forma), mai farselo dire su richiesta, in genere aspettare che la coppia abbia sei mesi di vita. Nelle coppie collaudate l’ingranaggio parrebbe meno faticoso. Ma non sempre la frase magica entra a far parte del vocabolario quotidiano. Anche dopo essersi dichiarati l’amore esclusivo, a un certo punto si smette di dirselo. Al pari delle coppie che si assestano in un menage «sexout», in cui il sesso viene tacitamente escluso, esistono anche quelle «loveout»: l’amore, anche se c’è, non viene più dichiarato. Per il saggista americano Jonathan Franzen alla base c’è lo svuotamento di significato: «dieci anni fa nessuno chiudeva una conversazione al cellulare, con un amico, dicendo ti adoro, ciao amore. Ora succede».
Gianna Schelotto, autrice del romanzo «Chi ama non sa» (Rizzoli) parla di antico e insanabile dissidio tra uomini e donne: i maschi pensano che non ci sia bisogno di dirlo e le donne se lo aspettano ogni giorno. «A furia di non avere qualcosa si pensa che si possa vivere anche senza», dice la psicologa e terapista di coppia che quotidianamente raccoglie la frustrazione di persone vorrebbero sentirsi dire «ti amo». Nel romanzo «Esercizi d’amore» (Guanda), Alain de Botton spiega che «cercare la conferma di noi negli occhi di un altro è come guardarsi nello specchio deformante di un luna park: persone piccoline si ritrovano alte tre metri, una donna snella diventa enorme... guardando la nostra immagine riflessa negli occhi acquosi di un altro, siamo condannati a una certa delusione». Per questo, difronte al rischio di una risposta poco convinta, si lascia correre. Oltretutto «chiedere» l’amore rappresenta l’esempio perfetto del paradosso pragmatico definito dalla scuola di Palo Alto. «Dire sii spontaneo è il prototipo del paradosso – dice Schelotto -. che crea una situazione insostenibile: per accondiscendervi bisogna essere spontaneo, aderendo a uno schema di non di spontaneità. Più o meno come chi si sente chiedere “tu mi ami?”. La risposta è per forza condizionata».
Il tempo è galantuomo, ma lo è un po’ meno nei sentimenti. «Alle donne che frequentano uomini sposati dico di non passare il limite dei 6 mesi: dopo quella data si rimane amanti a vita. Senza troppi schematismi, sei mesi è il tempo giusto anche per riflettere su un “ti amo” che non viene più pronunciato. Se passa un anno, ne passeranno altri».