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 2016  giugno 25 Sabato calendario

I nonni hanno fatto lo sgambetto ai giovani

La Decrepita Alleanza ha vinto. Ha preferito il passato al futuro, i ricordi ai sogni, l’illusione al buon senso.
Ne fanno parte i «little Englanders» di provincia e di campagna; i cittadini meno istruiti, su cui le informazioni scivolano come l’acqua sulle piume dei pellicani di St James’s Park; i nostalgici di ogni età, incapaci di rassegnarsi a un’evidenza. Questa: la Gran Bretagna, da tempo, è grande solo di nome. È un Paese normale capace di imprese ammirevoli.
Brexit non è tra queste, purtroppo.
Brexit sembra, prima di tutto, lo sgambetto a una generazione. Tra gli inglesi con più di 65 anni, solo il 40% ha votato per restare nell’Unione Europea (Remain). Tra i votanti fino a 34 anni, la percentuale sale al 62%. Tra ragazzi tra 18 e 24 anni, quelli favorevoli all’Europa sono il 73%. I nonni hanno deciso il futuro dei nipoti.
Il passato prossimo è la tentazione delle nazioni in difficoltà. C’è qualcosa di rassicurante nelle abitudini, certo. Ma rinunciare ai grandi progetti in favore delle piccole consolazioni è sciocco.
L’Europa è – era – un grande progetto, anche per il Regno Unito. I giovani inglesi, forse, non hanno saputo convincere le generazioni precedenti. Certamente non sono stati capaci di entusiasmarsi. Non sono stati fortunati: hanno trovato sulla loro strada leader goffi (il conservatore David Cameron); leader irresponsabili (il laburista Jeremy Corbyn, protagonista di una campagna scandalosamente inefficiente), leader cinici (Boris Johnson, che sogna di essere Churchill e rischia di diventare Trump).
Cosa gli accadrà? Cosa accadrà ai loro coetanei sul Continente, ormai di casa a Londra?
I ragazzi inglesi – per capire le proprie possibilità di studio, lavoro e movimento – dovranno capire quali condizioni verranno imposte al Regno (dis)Unito dall’Unione Europea. Se il danno non è ancora quantificabile, l’incertezza e l’ansia sono già certe. I giovani, in questo Paese, sono abituati a viaggiare, vivere e lavorare dovunque: grazie all’inglese, ai percorsi accademici, a una lodevole predisposizione all’esplorazione. Per loro tutto diventerà più difficile, se non impossibile (pensate al programma Erasmus).
Racconta Jenny Shurville, 29 anni, dottoranda in storia dell’arte (con una tesi sui disegni del XII secolo di Vercelli): «Le mie ricerche mi portano frequentemente in Europa e dipendono dalla libera collaborazione tra istituzione nella Ue e in Uk: verranno compromesse? Senza contare l’orrore: il catastrofismo che ha dominato la campagna del Leave, evidentemente, è accettabile da molti miei connazionali». James Norrie, 28 anni, dottorando in storia medievale: «Vedo conseguenze pratiche e conseguenze politiche. Tra le prime: le mie sterline, quando lavorerò a Roma, saranno svalutate? Dovrò prendere un passaporto irlandese? E poi: la mia generazione, soprattutto a Londra, dava per scontato di vivere in un Paese cosmopolita. Purtroppo, non è così. Scoprirlo è stato un pugno nello stomaco».
E per i giovani italiani? Brexit, prima d’essere dannoso, è doloroso, come una separazione in famiglia. L’Europa e Londra li hanno aiutati a crescere; e adesso, inspiegabilmente, si dividono. Ognuno chiederà il suo tempo, ognuno pretenderà lealtà: non sarà facile accontentarli entrambi. Mi scrive Marta Rizi, la giovane attrice romana con cui ho condiviso il palcoscenico per «La vita è un viaggio» (studi a Oxford, scuola di recitazione a Londra): «Brexit è un lutto, per me. È crollata la casa dove siamo diventati europei e cittadini del mondo. Fa male».
Il nuovo sindaco di Londra, Sadiq Kahn, ha lanciato ieri un appello dal titolo preoccupante («Don’t Panic»). Ha scritto che il milione di cittadini europei che vivono nella capitale britannica – in maggioranza, giovani – «restano i benvenuti» e la metropoli «continuerà a essere la città di successo che è oggi». La domanda è: come?
Il sindaco insiste sulla necessità di restare nel Mercato Unico europeo, pur uscendo dall’Unione Europea: forse non ha letto con attenzione l’art. 50 del Trattato di Lisbona, dove si dichiara che «ogni Stato Membro può ritirarsi dall’Unione, in osservanza con i propri requisiti costituzionali». Il comma 4 prevede però che «le condizioni del ritiro» e la «futura relazione con l’Unione» verranno decise dal Consiglio Europeo «senza la partecipazione alla discussione dello Stato Membro che si ritira». In sostanza: il Regno Unito non avrà voce in capitolo. Forse sarà ridotto a sottoscrivere una serie di accordi bilaterali.
Le testimonianza, da stamattina, fioccano (su «Italians», sui social e altrove), Giovanni Crovetto, milanese, 32 anni, otto passati a Londra, lavorando in campo finanziario: «Mi dispiace che molti, più giovani di me, rischino di vedersi negata l’opportunità di conoscere l’apertura al futuro che ho visto io». Maurizia Carrera, torinese, 29 anni, Motion Graphic Designer: «Per quanto potrò esercitare la professione prima d’essere obbligata a trovare uno sponsor per lavorare in GB? Brexit limiterà l’afflusso di giovani. Noi europei perderemo l’occasione di vivere in una città che ha aperto la mente a molti». David Pagliaro, triestino, 24 anni, lavora per un think tank: «Sono a Londra da quattro anni e non mi cacciano via domani. Ma le cose cambiano anche a livello di sentimenti ed emozioni. Non mi sarei mai aspettato che la nostra generazione dovesse veder aumentare i confini».
Giornate tristi, aspettano questa città. Londra non conoscerà il declino gentile che aspetta l’Inghilterra rurale, destinata a diventare una Svizzera povera, piatta e sul mare. Ma le perdite ci saranno: di opportunità, di lavoro, di presenze europee (rimpiazzate da arrivi indiani, cinesi e sudamericani, presumibilmente). Una sconfitta collettiva. La città più internazionale d’Europa costretta a cambiare rotta.
La nuova destinazione l’ha decisa la Decrepita Alleanza. E nessuno sa bene qual è.
(ha collaborato, a Londra, Stefania Chiale)