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 2016  giugno 25 Sabato calendario

A proposito di Cameron, lo sconfitto

Onore delle armi, d’accordo. Perché ha combattuto, quasi da solo. E perché ora, per tre o quattro mesi non di più, gli tocca «tenere salda e stabile la barca» nella tempesta post Brexit. Ma quello che ha combinato è roba da dilettanti allo sbaraglio. Se non si fosse incaponito con la storia del referendum, escogitata nel 2013, per compiacere l’estremismo euroscettico e per garantirsi nel 2015 un altro mandato di governo, David Cameron non sarebbe qui a dire addio alla poltrona con la rituale lacrimuccia agli occhi e la moglie Samantha alle spalle, davanti al 10 di Downing Street che non sarà più casa sua.
In politica serve sempre essere maghi di bluff ma al tavolo del poker, il leader ormai ex dei Tory, si è presentato con una ridicola coppia di sette. Di azzardi ne aveva provati già tanti. E anche con successo. L’ultimo è andato all’aria. Ha stressato gli amici europei per mesi, tenendoli sulla corda con lo spettro della Brexit. Poi ha chiuso un buon accordo che garantiva paletti di autonomia a Londra e ha compiuto l’inversione, irritando gli ex compagni di euroscetticismo, pieni di rancori. Infine ha causato uno sconquasso mondiale, sottovalutando la carica anti establishment che covava attorno e sottostimando gli incubi migratori del Nord, dell’Est, dell’Ovest, del Sud inglese.
Sconfitta catastrofica e penosa. È chiaro che David Cameron si trovi coi piedi sull’uscio del potere, costretto a pronunciare la litania: «C’è bisogno di aria fresca e di un altro leader entro il prossimo congresso del partito a ottobre». Undici anni alla guida dei Tory e sei a Downing Street. Li ha risollevati dall’era blairiana (e non è poco), li ha galvanizzati, li ha divisi. Ed è caduto travolto dal suo vizio più imperdonabile: la presunzione degli etoniani e degli oxoniani ultra aristocratici (il famoso college e la famosa Università dove ha studiato), di coloro che pensano di avere sempre ragione e di poterla fare sempre franca. Ha tirato la corda e l’ha spezzata. Colpa grave per uno che ha responsabilità massima.
Forse gli ha nuociuto quel senso di sicurezza baldanzoso che è stato lo scudo della sua vita. Si è salvato dagli scandali del club dei bulli di Oxford (il Bullingdon) che frequentava fumando spinelli, ubriacandosi e tirando sassi alle vetrine dei pub. Peccati lontanissimi di gioventù e da dimenticare. Per restare all’oggi, si è salvato dallo scandalo dei tabloid spioni diretti dal suo ex capo della comunicazione a Downing Street, lì portato a dispetto dei santi. Si è salvato dallo scandalo dei Panama Papers con le sterline investite nella società del padre nascosta nei paradisi fiscali. Si è persino salvato dalla figuraccia della spedizione in Libia dove ha lasciato macerie. Si è sempre salvato tranne che il 23 giugno. E per sua sventura è l’unica data del suo regno che resterà nella storia del Regno Unito, dell’Europa e del mondo.
Così quanto di buono ha combinato, e il buono c’è, resta avvolto dalle nebbie. Di sicuro ha preso in mano un Paese che era in ginocchio, nel 2010, e con la controversa scure dell’austerità l’ha rimesso in carreggiata. Purtroppo per lui la carta dell’economia, che credeva dirompente, non gli è servita a vincere il referendum. Di sicuro c’è pure la legge sui matrimoni gay che, con coraggio e sfidando mezzo partito, ha promesso e votato in un batter d’occhio. Di sicuro c’è che ha ridato smalto al conservatorismo inglese usando l’arma controversa dell’ultraliberismo e il ramoscello d’ulivo dei diritti civili. Qualcuno lo ricorderà?
Allora, onore all’europeista più euroscettico che c’è (o c’era) su piazza. In fin dei conti l’Europa gli piaceva per convenienza e non per cuore. E onore al papà David Cameron che, da poco entrato a Downing Street, subì il più straziante dei dolori, la morte del primogenito di sette anni, gravemente malato. E lo fece con discrezione commovente.
Siamo al congedo. Ma non è detto che avvenga con sobria e delicata classe. Cameron vorrà giocarsi l’ultima partita: quella che sbarra la strada al rampante Boris Johnson. Col quale ha un conto in sospeso. È certo. Ma non dovrà sbagliare mossa.