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 2016  giugno 25 Sabato calendario

La rinascita del Galles (stiamo parlando di calcio)

Galles-Irlanda del Nord sarà un derby pieno di passione, con i tifosi migliori di questo torneo e le due squadre a loro modo più impensabili. «Spero sia un bel match inglese all’antica, come i derby che giocavo io: Coleraine-Ballymena, 500 spettatori», sogghigna il ct irlandese Michael O’Neill, uno che è arrivato agli ottavi di finale facendo meno tiri in porta (17) e meno possesso palla (28,5%) di tutti con i suoi giocatori di serie B che corrono, spazzano, sperano, e se qualche volta colpiscono un pallone pazienza. «Puntiamo sulle emozioni». Invece il Galles l’ha presa alla larga, è cambiando pelle e persino anima che ha trovato questo sbocco nel calcio che conta, e nel quale può inoltrarsi oltre. I tifosi che cantino pure, ma in campo serve freddezza. «Con l’Inghilterra», annota il ct Chris Coleman, «abbiamo giocato con troppa passione e per colpa dell’emotività abbiamo tralasciato la strategia. Io preferisco che le emozioni le lascino da parte: dobbiamo essere lucidi e, se siamo in difficoltà, sapere aspettare che la tempesta passi».
È questo che ha insegnato Coleman nei suoi quattro anni di lavoro, ribaltando totalmente i pensieri del calciatore gallese medio e partendo da un trauma, il suicidio del suo predecessore Gary Speed. Speed fu trovato impiccato in casa la mattina del 27 novembre 2011. Non lasciò una lettera di spiegazioni, solo un vuoto che ha divorato la nazionale. Due mesi dopo venne ingaggiato Coleman, un onesto ex terzino (smise di giocare nel 2002, quando era capitano del Fulham, dopo essersi fracassato la gamba in un incidente stradale): in quel momento allenava al Larissa, seconda divisione greca, e venne preso e scaraventato alla guida di un gruppo scavato dentro, totalmente spento. Perse le prime tre partite praticamente senza giocarle. Incassò un umiliante 6-1 in Serbia, e fu il punto più basso. Era una squadra assente, come raccontò l’attaccante Craig Bellamy nella sua autobiografia: «La federazione non ci disse una parola, ci convocarono per la prima amichevole come se niente fosse. Ma noi eravamo shoccati, traumatizzati, non andavamo avanti. Allora un giorno nello spogliatoio ho urlato basta: avevamo il diritto di non essere più ossessionati dalla mancanza di Speed». Ma era un’ossessione di cui era ancora prigioniero Coleman: «Mi ero calato nei suoi panni, come se la mia missione fosse essere lui. Avevo copincollato i suoi schemi. E alla squadra dicevo le cose che avrebbe detto lui, con il risultato che i giocatori non credevano in me perché io ero il primo a non credere a me stesso. È stata mia moglie a darmi la scossa: se devi fallire, Chris, almeno fallisci con le tue idee».
È lì che il Galles ha svoltato. Coleman ha chiesto alla federazione un intervento su strutture e logistica. «Abbiamo cambiato ogni cosa, dalla filosofia di gioco al modo di viaggiare». E ha lavorato sul senso d’appartenenza: ha scommesso con i suoi su chi sarà il primo a raggiungere le cento presenze in nazionale, invogliando i giocatori a non rifiutare più le convocazioni. E poi, la rivolta tattica, passando dal vecchio stile all’inglese a un italianismo spinto: cinque difensori, molto contropiede e nessuna vergogna di ostentare frasi del genere. «Bisogna avere molti giocatori dietro la linea della palla. Non mi interessa la bellezza, mi interessa il risultato. Preferisco pareggiare 0-0 che perdere 3-2». D’altronde, ha un fuoriclasse che può segnare in qualsiasi momento, Bale. E un altro che può inventare qualcosa sempre, Ramsey. «Il mio compito è solo quello di mettergli una squadra attorno». Una squadra che sappia essere più forte delle emozioni, anche di quelle nere come il buio.