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 2016  giugno 25 Sabato calendario

La tv secondo Mika. Intervista

Spumeggiante, come fosse sempre circondato da microscopici fuochi d’artificio, sorriso smagliante da bimbo e collanine che gli danno l’aria hippie, ma allo stesso tempo chissà come mai modernissima, Mika ci accoglie in una piccola suite riempita di stampe dei fumetti di Tin Tin: «Ogni volta che sono qui cerco sempre di avere questa stanza, è la mia preferita, ho sempre adorato questi fumetti, e poi c’è una vista meravigliosa».
Il quasi apolide performer, cittadino del mondo ma con residenza a Londra, si trova a Bruxelles nel giorno della Brexit («Non era il momento giusto: politicamente ed economicamente troppo fragili, ma devo ammettere di essere stato sempre euroscettico») per firmare una serie di nuovi orologi da lui disegnati, ma noi siamo qui per parlare della novità televisiva: un show in quattro puntate, a novembre in prima serata su RaiDue.
È la ragione per cui aveva dichiarato di non voler più continuare l’esperienza di “X Factor”?
«Assolutamente no, non credevo neanche che fosse una cosa realistica, un salto così… sembrerebbe facile, dopo X Factor, ma non è così, il salto è grande e non pensavo fosse possibile. Poi c’è stato l’interesse di RaiDue, e la coincidenza di ritrovare Ilaria Dallatana con cui ho condiviso l’inizio del percorso a X Factor. Coincidenze preziose, ho pensato che era tutto abbastanza strano da poter funzionare», e sui segni del destino cita Gibran, profeta amatissimo da molte rock star, e guarda caso anche lui libanese come Mika. «E poi c’è soprattutto la mia incoscienza».
Come sarà il programma?
«Quando ho accettato ho detto sì ma ho bisogno di carte blanche, come in concerto, anche se so bene che non è un concerto: ho la responsabilità di entrare nelle case di tutti, ma devo arrivarci come me stesso. Hanno detto ok, e io ho scritto già una specie di storyboard dettagliato di tutto quello che idealmente dovrebbe accadere, non so se succederà davvero ma il mood e il ritmo di ogni cosa è già definito».
Cioè? Sarà un varietà, con figure classiche tipo vallette?
«No, sarà un “one man show”: ospiti, ma neanche tanti, in studio ma come fosse un live, con alcune parti girate fuori, sarà registrato anche se con i tempi e i modi di uno spettacolo dal vivo, anche perché se vado nella tana del lupo…».
Quanto ci sarà dell’eclettismo di Mika, del suo impegno, della lotta contro l’omofobia?
«Ci sono tante regole quando inizi a lavorare con la Rai, regole di comportamento in senso politico, non immaginavo fosse così. Ho letto tutto, lo faccio sempre, perché ho paura, mi preoccupo. Io parlo sempre dei rifugiati, del razzismo, della legalità, dell’omofobia, ma a leggere le regole sembrava non avessi il permesso di parlare praticamente di nulla. Buttano tutto in politica: ma come faccio a parlare di queste cose senza schierarmi? Allora ho parlato con Ilaria e lei mi ha spiegato che non è proprio così schematico, quindi nello show metterò tutto, ma esattamente come lo faccio nella musica: da artista, non da politico, ecco devo fare la stessa cosa nello show. Altrimenti, come dicono gli inglesi, sarebbe uno show alla vanilla, innocuo… Sono straniero e questo va valorizzato, dopo anni di X Factor ora potrei essere accettato. Fosse capitata l’occasione quattro anni fa non sarebbe stato possibile».
Ma in fondo è già successo: la sua veloce assimilazione della lingua, la simpatia innata, lei è già stato italianizzato… «Se è così mi fa piacere ma io sono un zingaro, quando avevo 6 anni la mia famiglia partì dal Libano per Parigi, 16° arrondissement, ci chiamavano gli zingari del seizième e non era una cosa bella, era aggressivo, forse a causa del nostro modo di fare, colori musica, eravamo punk-boheme. Non siamo stati sempre ben acccogliati...». Così dice, ma la velocità con cui afferra la lingua, errori compresi, alla fine fa simpatia. «...Questo mi dà la possibilità di andare nel mondo senza aver paura di lasciare casa mia, tutto resta sospeso: mi fa piacere essere qui un po’ italiano, in Francia un po’ francese, in Inghilterra un po’ inglese».
Detto così sembra tutto molto moderno, esattamente nella direzione in cui va il vento della comunicazione globale…«Di sicuro rappresento una generazione molto più mobile. Siamo anche obbligati a muoverci: rimanere fermi a casa propria è un lusso, ma allo stesso tempo penso che l’idea di essere tutti mischiati sia positiva. Da quando lavoro per l’Onu con i rifugiati, ho capito che è e sarà una delle grandi questioni da risolvere nel mondo. Ora siamo a 60 milioni di sfollati ufficiali, ma il numero vero è sicuramente molto più grande».
Istintivo?
«Sì, anche quando fa male. Ma è il mio lato arabo: Inshallah, è tutto già scritto, anche una scelta sbagliata può provocare una conseguenza straordinaria».
Sembra avere in comune con due mostri sacri come Freddy Mercury e David Bowie la tendenza a pensare se stessi come vera opera d’arte, è così?
«Per me non è un atteggiamento calcolato, forse è così ma nel senso più carnale, dell’appetito che ho nel voler collegare tante cose diverse. Bowie sì che era un’opera d’arte: il corpo, gli abiti che indossava, c’era sempre un senso compiuto».
Dicono che sul lavoro è molto più cattivo di quanto non sembri. Vero?
«Cattivo no. Duro, ma cattivo non direi. Se sei cattivo le persone buone ti abbandonano, gli amici lo sanno, non sono un angelo, ma non devi essere un angelo per essere una brava persona, e non devi essere un diavolo per sporcarti le mani».