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 2016  giugno 25 Sabato calendario

Lo stile riparte da D’Annunzio

Per lungo tempo non ci fu che una maschilità battagliera: aggressiva, agonistica, muscolare e gladiatoria. E nulla era più virile e decoroso di un aspetto sobriamente marziale. Dunque – nonostante Napoleone! -, erano le armi a dover rilucere più che ghiribizzi in paillette e canottiglie. E sull’abito del Combattente Vittorioso, sulle sue certezze, si costruivano la bellezza maschile e le sue rappresentazioni letterarie e artistiche. Con pause di pacificazione però, almeno estetiche, ogni volta che, ciclicamente, lo stile del maschile si ammorbidiva fino a illanguidirsi. Quando, nel riposo del Valoroso Vincitore, si intessevano storie d’amore (la guerra non consentiva che eroiche amicizie, anche se spesso erotiche) e quel tozzo Eterno Belligerante si trasfigurava in una creatura più armoniosa, sottile, notturna, persino gentile. Come nelle leggende e nelle grandi epopee (shakespeariane, ad esempio), oppure – lungo tutto il ’700 e l’800 – tra ambigui civettuoli e cerei romantici in nero. Creature finalmente sentimentali, fragili e quasi senza più difese; almeno emotive, se non fisiche.
Fu quando con la più competitiva avventurosità si poté conciliare il poeta; e i suoi eccessi estetizzanti. E fu il dannunzianesimo: formula stilistica vincente come poche altre in Europa. Perché inseminata di estetismo anglosassone (uno snobismo già immortale), e attinta da un più vasto decadentismo nichilista. Nulla poté competere con quegli atteggiamenti: tra modernismo ed eversione, sconsiderata commistione e complessità quasi camp.
In questo eterno ritorno consiste anche gran parte del “maschile” visto in pedana (ma già perfino in pubblicità) in queste ultime settimane. Consapevole o meno, è in quel bacino di sofisticato irrazionale che trova la propria origine. In una specie di mescolanza tra arte e vita: sfrenata, inimitabile e lontana da qualsiasi logica. Ermetica. Mentre l’asciutta e lucida funzionalità di un abito realisticamente efficiente e pratico è come bandita. Quel certo abito razionale e solidamente efficace è ora messo all’indice come una ruvidità intollerabile.
Fu con Gianni Versace che questo genere di maschilità – rintracciata con successo da Armani, ma poi espressa da tutto il basico di quegli anni 70 – ebbe la sua più agguerrita antitesi. Quindi, con Tom Ford; e da qualche stagione (con citazioni da Les Fleurs du mal), con Slimane per Saint-Laurent. E dopo di lui con un’infinità di epigoni. Anche se il destino di questo genere ora non appartiene che alla minuziosa narrazione di Gucci. Con un uomo mai visto prima. Se non appunto in quel pallido, crepuscolare dandismo sconsideratamente estetico. Così che tutto ormai – fisionomie, atteggiamenti, atmosfere, arredi, materie e colori – si conforma al Nuovo Stile.
E il tema non è certo l’eventuale sincerità di quella mascolinità. Piuttosto, anche in viaggiatori alla Chatwin, la cangiante complessità di una sensibilità sofisticata e colta. In questo consiste la novità dello Stile. Dopo che per anni, solo a parlare di cultura, si rischiava il linciaggio.