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 2016  giugno 25 Sabato calendario

Intanto a Gibilterra...

Ci ha pensato la Gran Bretagna a cambiare l’agenda alla campagna elettorale spagnola. Se di Europa finora si era parlato poco e niente, nell’ultimo giorno utile per racimolare voti ha fatto irruzione la Brexit. In Spagna domani si vota, i sondaggi (quelli che girano informalmente) dicono che alla chiusura delle urne, e chissà per quante settimane, si riproporrà lo stallo che ha costretto il Paese a tornare al voto. Ma se l’economia in questi mesi senza governo tutto sommato ha retto, i risultati che arrivano da Londra lasciano indicare che la pazienza dei mercati (e degli spagnoli) potrebbe durare poco. Ieri la Borsa di Madrid è crollata, lo spread è salito a livelli d’allarme, la settimana prossima, senza un barlume di stabilità, potrebbe esserci il colpo di grazia. 
Gli analisti si interrogano: chi pagherà questo clima in termini di voti? In molti guardano a Podemos, il movimento nato dalle proteste degli Indignados e ora alleato con la sinistra post comunista. Il partito di Pablo Iglesias nei sondaggi è in forte crescita, secondo solo ai popolari e con qualche chance persino di guidare il governo. Le posizioni di Podemos si sono molto attenuate anche nei temi europei, se un tempo non escludeva un abbandono dell’euro, ora spera di far fronte comune con l’Italia e il Portogallo per sfidare l’austerità, senza mettere in discussione la presenza spagnola nella moneta unica e mettendo in secondo piano la stretta affinità con Syriza. 
Chi potrebbe uscire beneficiato dal voto britannico è il premier Mariano Rajoy, il premier uscente è comparso in tv per rassicurare gli spagnoli, invitandoli a seguire la strada intrapresa: niente avventure. Iglesias capisce il pericolo e risponde: «Non mischiamo cose che non c’entrano». Anche i socialisti sperano di recuperare voti di elettori spaventati da un salto nel buio. 
Ma la Spagna ieri era impegnata in un altro fronte, quello di Gibilterra. Senza Unione Europea l’economia del possedimento britannico («l’ultima eredità del colonialismo», secondo Madrid) rischia di uscire fortemente danneggiata. La paura è la chiusura della frontiera, che vorrebbe dire un disastro economico di larghe proporzioni, tanto che il 91% della popolazione ha votato «Remain». Basta fare due passi per la Main street, all’ombra della Rocca, per percepire la paura dell’isolamento. I primi a pagare sono stati i tanti frontalieri (11 mila quelli regolari) che ogni giorno arrivano qui dalle zone oltre confine: «Il venerdì prendiamo lo stipendio settimanale – dice Manuel, cameriere in un pub – ci pagano in sterline, ho perso l’8 per cento». 
Il governo spagnolo prova ad approfittare del caos, rispolverando l’eterna disputa territoriale. «La bandiera spagnola è sempre più vicina alla Rocca – dice il ministro degli Esteri, Manuel Garcia Margallo – per aggirare il problema della Brexit, pensiamo a una doppia sovranità». Il primo ministro di Gibilterra, Fabian Picardo, compare nel primo pomeriggio nel piccolo parlamento locale e risponde: «Non saremo mai spagnoli, neanche un po’». Non è giornata di complimenti per il governo spagnolo, persino un moderato come l’ex sindaco Solomon Levy si lascia andare, «questi sono peggio di Franco».