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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

La Raggi si è insediata (e si è commossa). Il primo giorno della neosindaca e le prossime mosse dei grillini

Filippo Ceccarelli per la Repubblica

Ma povera Raggi! Vista lassù, da lontano, la sindaca di Roma sembra una figurina sopraffatta da una solitudine di cielo, pietra, abisso e splendore. E infatti dopo pochi secondi si mette una mano sulla bocca, poi due, forse piange, certo sospira, si volta, saluta con la mano, rientra, riesce, “emozionata?” le gridano i fotografi, e lei risponde di sì con la testa, vistosamente.

Le cerimonie mediatiche vivono di luoghi spettacolari, e il balconcino dello Studio del sindaco sul torrione di Nicolò V è fra tutti il più bello del mondo. Francesco Rutelli, il primo a valorizzarlo, disse che quel “portentoso” affaccio “può dare alla testa”; forse anche per questo Veltroni lo condivise con pontefici, star di Hollywood e quanti più poteva; con preveggente onestà, un giorno che ci era capitato con Ronchi e Gasparri, Alemanno si chiese come era stato possibile che proprio loro tre fossero lì; così come Marino piantò una grana con le burocrazie capitoline poco propense, per ragioni di sicurezza (“se per caso un cecchino...”), a portare davanti alla porta del terrazzino la scrivania-feticcio di Ernesto Nathan, sindaco da lui incautamente considerato un modello.

Ma ecco che ieri pomeriggio, asciugate le lacrime, Raggi ha scelto di mandare in scena da qui una diretta Facebook cui ha virtualmente invitato tutti i cittadini della rete perché Roma, ha spiegato con sorridente spigliatezza mentre il vento le scompigliava un po’ le chiome, “merita di essere amata”.

E questo è senz’altro vero, e la trovata comunicativa c’è, l’evoluzione video-digitale pure, ma nessun Facebook riuscirà mai a togliere l’impressione che Roma è un disastro autentico, un paesaggio di “macerie” l’ha definito la stessa Raggi, e governarlo qualcosa che al momento, purtroppo, sovrasta qualsiasi novità, sovranità e buona volontà.

Certo, a questo punto lei ci deve provare. La fascia oltretutto le dona. Ma a pensarci un po’, è proprio ciò che si vede da quel balcone, nella sua meravigliosa caducità, che non promette nulla di buono e anzi vira l’animo verso un tragico, eterno scetticismo. Avanti un’altra, dunque.

Dopo l’ecumenica utilitaria di Veltroni, il motorino di Rutelli, la bici di Marino, i mortaretti da stadio, i saluti romani, la “società dei magnaccioni” dei tassisti di Alemanno, Raggi è ascesa al Campidoglio, il “secondo Olimpo” cantato dal Carducci, su una curiosa, frusciante automobilina azzurra e abbastanza fichetta, senza il bronzeo accompagnamento della campana Patarina, né alcun Commissario Tronca che abbia avuto la sensibile bontà o l’istituzionale cortesia di passarle le consegne.

Sulla scalinata laterale, come in un quadro naif o un’inquadratura un po’ felliniana, l’attendevano vigili baffuti e funzionari che si allacciavano la giacca detergendosi il sudore, oltre a un nugolo di operatori della comunicazione, dall’altro lato della strada, come al solito accalcati dietro alle transenne sotto lo schioppo del sole e quindi dovutamente nervosetti. A questi ultimi, più divertita che altro, Raggi ha consegnato la frase storica della giornata liquidando la questione del titolo di genere – sindaco o sindaca? - con un civettuolo, sebbene non del tutto spontaneo: “Chiamatemi Virginia”.

Ma la statuetta della lupa che da domani Virginia avrà davanti agli occhi nel suo studio, animale totemico di ambivalente inclinazione, nutre sì i gemelli, però da tempo immemorabile sbrana anche i suoi senatori, caporioni, governatori, commissari e sindaci. Per cui sì, la vittoria è la vittoria, e l’inno dei cartoni giapponesi dell’infanzia (“Raggi laser che sembran fulmini,/ é protetta da scudi termici...”) avrà certo rincuorato gli attivisti M5S, così come il sintomatico fotomontaggio del Tempo che l’altro giorno la ritraeva con uno scettro imperiale e una corona di foglie in testa.

Ma poi arriva il momento del governo e per chi ha vinto il comando si configura in nessun altro luogo come in Campidoglio uguale a una spada sopra il capo. Questo ricorda a tutti il più antico municipio della storia umana, illustre proscenio di glorificazioni, trionfi, dispendio di quattrini e banchetti, ma anche di congiure, gogne, esecuzioni capitali e linciaggi – in genere di quegli stessi un momento prima ricoperti di lodi gioiose, persi qui nel sogno cieco che se li è portati via.

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Fabrizio Caccia e Ernesto Menicucci per il Corriere della Sera
Si è affacciata e non è più riuscita a trattenere le lacrime, Virginia Raggi. Ai fotografi che le chiedevano da sotto se fosse emozionata, ha fatto solo cenno di sì con la testa. Nel giorno del suo insediamento formale in Campidoglio, ieri, la sontuosa vista dei Fori dal balconcino del suo nuovo studio di Palazzo Senatorio l’ha sopraffatta. Ma è stato un attimo. Poi la Raggi – che in mattinata aveva reso omaggio al giudice Mario Amato ucciso dai Nar e aveva deposto corone di fiori all’Altare della Patria, davanti alla Sinagoga e alle Fosse Ardeatine («essere qui è un atto dovuto») – si è messa subito al lavoro, con tanto di foto su twitter della prima riunione di gabinetto. A proposito: sindaco o sindaca? «Non credo – la risposta – che interessi i romani. L’Accademia della Crusca si è già espressa per sindaca, non mi fa impazzire, comunque mi adeguo: ma potete chiamarmi Virginia...». Poi, una volta entrata nello studio che fu di Rutelli, Veltroni, Alemanno e Marino, ha postato su Facebook un video, mostrando il panorama: «Questa è Roma, e va amata...».
La sua prima mossa? Una lettera ad Atac e Ama, le due municipalizzate di trasporti e rifiuti, dove i vertici hanno rimesso il mandato. E poi l’audit sul Bilancio. La giunta della Raggi, però, non arriverà prima del 7 luglio («se la prende comoda», ironizza il Pd), prima seduta del consiglio comunale. Ma gli assessori non firmeranno il codice etico «grillino», quello con la multa da 150 mila euro per i trasgressori. Del resto, anche nel «contratto», si specifica che quella norma vale solo per gli iscritti al Movimento, e i membri di giunta possono essere revocati dal sindaco quando vuole.
«Quella possibilità – dice Raggi – era stata inserita perché all’inizio si pensava che alcuni consiglieri potessero diventare assessori, ma non sarà così. Comunque gli assessori ne sono orgogliosi del codice e lo rispetteranno». Altra grana, quella sul salario accessorio dei dipendenti. Il commissario Tronca, prima di andar via, ha tagliato una parte di quelle retribuzioni e i sindacati sono già sul piede di guerra.
Mentre la Raggi s’insediava in Campidoglio, altri sindaci «grillini» come lei, vittoriosi nei ballottaggi del 19 giugno, si son visti a porte chiuse nella «Sala Tatarella» di Montecitorio col vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, responsabile degli Enti locali di M5S. Così è nato il Super Direttorio, o «gruppo di coordinamento» o «cabina di regia» che dir si voglia, formato da parlamentari e da consiglieri regionali che avranno il compito di aiutare i sindaci M5S sul territorio. Di Maio dirigerà la struttura e avrà tre referenti: uno per il Nord e l’Emilia-Romagna (Riccardo Fraccaro), uno per il Centro e la Sardegna (Alfonso Bonafede) e un altro per il Sud (il deputato regionale siciliano Giancarlo Cancelleri). A loro volta, i tre, coordineranno i referenti di ogni singola regione. Alla riunione di ieri c’era il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, ma non quello di Parma, Federico Pizzarotti, tuttora sospeso dal Movimento, a cui non è stato mandato l’invito: «Rammaricato di essere stato escluso», la sua reazione.
Ai sindaci vecchi e nuovi (si rivedranno tutti a Imola, ad ottobre, per la festa del Movimento) sono state mostrate le 129 prime proposte di legge presentate dagli iscritti 5 Stelle in tutta Italia, consultabili sulla piattaforma Rousseau : dal «reddito di cittadinanza» al «fondo per ogni bambino che nasce», dalla «moneta elettronica» alla «riapertura delle case chiuse». Istanze dal basso che diventano ipotesi di lavoro. «Si chiama democrazia partecipata – chiosa il sindaco di Venaria Reale, Roberto Falcone —. Perché non vincono i 5 Stelle. A vincere sono sempre e solo i cittadini».