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 2016  giugno 23 Giovedì calendario

Josciua e Daphne, la favola di un ex detenuto e di una cameriera finita a Cannes

Quella di Josciua Algeri, ieri detenuto, oggi musicista e attore, è una storia esemplare di redenzione e rinascita. Il giovane, vent’anni, la racconta senza reticenze. «Ho commesso gravi reati, sono finito in carcere. Ma al Beccaria entro nell’associazione Punto zero, frequento laboratori di teatro e musica, inizio a scrivere canzoni rap. Sul palco sto bene. Canto, poi mi appassiono a Romeo e Giulietta, all’Antigone. Ci danno permessi premio per gli spettacoli, arriviamo a esibirci al Piccolo di Milano. La mia canzone rap, Tutto passa, è la colonna sonora dello show». Cita il refrain: «Tutto passa, gli sfregi e i tagli restano/Tutto passa, questi ricordi mi calpestano/E il tempo passa, lo spengo, come un fiammifero/ Tutto passa “man”, volo fuori Prison con la Break».
Com’è nato l’incontro con il regista Giovannesi?
«Claudio mi è venuto a cercare fuori dall’ospedale dove era appena nata mia figlia, ero da poco fuori dal carcere. Abbiamo fatto il provino in mezzo alla strada».
E la sua vita è cambiata...
«Stravolta, direi. Questo film è stato una terapia. Ho lavorato sui miei stati d’animo, tirato fuori quei lati positivi che durante la detenzione avevo nascosto, per proteggermi e non soffrire».
Perché è arrivato a fare del male agli altri?
«È nel Dna della mia famiglia. A Bergamo siamo noti per vicende giudiziarie. A 8 anni mi hanno tolto ai miei genitori, sballottato tra comunità e case famiglia. Ero pieno di rabbia verso gli adulti. Ho iniziato con i piccoli reati per ottenere quel che il mondo non mi dava, sono entrato nel giro grosso. Soldi veri, droga, “vida loca”. Poi il carcere. Sono cambiato, ma prima del film ero comunque a rischio. “Se sto ancora in giro, lo so che tra poco torno dentro”, pensavo. Giovannesi mi ha salvato. Ora voglio continuare con la musica e ho fatto i provini per Gomorra 3».
Com’è vivere nella legalità?
«Mi dà la consapevolezza che ciò che conquisti con la fatica poi te lo godi di più. Le scorciatoie non mi possono dare la serenità di cui ho bisogno. Ora sono a Varese, restauro le persiane di una casa di campagna. Nel tempo libero insegno ai bimbi dell’asilo a scrivere canzoni. Mi batto perché le condizioni in prigione siano più vivibili. Il carcere può essere salvezza o scuola di crimine. Condizioni di vita degne ti aiutano a fare la scelta giusta».
 ( ari. fi.)
***
 
Daphne Scoccia, 21 anni, è il Fiore del titolo del film di Claudio Giovannesi. Il cinema è andato a scovarla nel ristorante in cui lavorava come cameriera. Dopo aver fatto centinaia di provini, il regista ha capito che l’attrice che cercava serviva ai tavoli in un locale a due passi dal suo ufficio.
Daphne, perché Giovannesi l’ha scelta?
«Penso per certi tratti comuni con il personaggio. Anche io ho un carattere chiuso, sono emotiva. Una fase di ribellione nel passato ce l’ho avuta anche io. E condividiamo lo stesso bisogno d’amore».
Sul set com’è andata?
«Bene, con Josciua è stata subito amicizia vera, mi sono trovata a mio agio con i ragazzi, attori ed ex detenuti. Con Valerio Mastandrea è stato un bell’incontro: è come lo vedi, ti mette subito a tuo agio».
Nessuna difficoltà?
«Solo nella scena in cui faccio una telefonata dal carcere. Non sapevo come comportarmi. Claudio cercava di darmi indicazioni, ma sono scoppiata a piangere. Questo film è stato un viaggio importante per me, con i suoi momenti allegri, i litigi, le lacrime. Scegliendo di farlo, ho forzato il mio carattere insicuro. Ho superato molte delle mie paure».
Da quando fa la cameriera?
«Da qualche anno. Ho lasciato la scuola presto, non ero motivata. Mi sono fatta una cultura da sola, sui libri, in rete. Mi appassionano la musica e i documentari. Per un anno ho lavorato in fabbrica. Infilavo spiedini di pesce surgelati. Otto ore e mezzo al giorno per poche centinaia di euro al mese, con la puzza di pesce che ti porti appresso sempre. E quel senso di non avere un futuro davanti che appartiene a molti della mia generazione».
Che effetto le ha fatto Cannes?
«È stata un’esperienza bellissima, che ho vissuto con la consapevolezza che questa non è la vita vera. La vita vera per me è una vecchia Punto parcheggiata sotto casa, non una Maserati fuori dall’albergo».
E ora?
«Lavoro in un altro ristorante, mi devo mantenere. Non avrei mai pensato a una carriera d’attrice, ora che ho provato l’esperienza sarei felice di andare avanti. Ma voglio far parte di un cinema capace di raccontare la realtà, non m’interessano le soap opera. Sono fatta così».