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 2016  giugno 11 Sabato calendario

«La rivoluzione, qui e oggi, la possono fare solo gli uomini per gli uomini». L’appello di Lucia Annibali contro la violenza sulle donne

Lucia Annibali porta sul volto sfregiato dall’acido il segno di quella ferocia che gli uomini continuano a scatenare contro le donne. Anche per questo va ascoltata, con lo stesso rispetto con cui si ascolta il sopravvissuto di una guerra. L’appello che ha lanciato ieri, in seguito alla strage continua cui abbiamo assistito e stiamo assistendo, è rivolto agli uomini: perché «la rivoluzione, qui e oggi, la possono fare solo gli uomini per gli uomini, affrontando un percorso di liberazione simile a quello che ha portato le donne all’emancipazione».
Un invito che interroga noi uomini, anche quella grandissima maggioranza di uomini che si sentono estranei, per natura e/o per cultura, ad ogni violenza, figurarsi alla tentazione di uccidere la moglie o la compagna. Ci dice, Lucia Annibali nel testo scritto con Alessia Morani, che la tragedia del femminicidio è un dramma delle donne – certo – ma è fondamentalmente un problema degli uomini. Di tutti gli uomini, non solo di quelli che ci viene da definire subito bestie, mostri, artefici di mattanze quasi quotidiane. Perché quella ferocia demente ha un terreno fertile ovunque: nelle famiglie, nella scuola, nel mondo del lavoro, nella società, nelle mille piccole e grandi discriminazioni di cui sono vittime le donne, troppo spesso valutate ancora per le loro qualità di mogli fedeli, madri devote, compagne, vallette, modelle.
Per non parlare del fatto che, con tutti i discorsi di emancipazione dell’uno e dell’altro sesso, i loro corpi mercificati sono presenti ovunque – nei manifesti pubblicitari delle nostre città, in tv, in Rete – come oggetti di eccitazione a beneficio del maschio. Che dire di questa «sana» normalità avvolgente e inebriante? Che cosa ne diciamo noi maschi non feroci e non dementi? Quante volte accettiamo con un’alzata di spalle la strage di donne, confortati dai sondaggi numerici: «Caro lei – mi scriveva qualche settimana fa un lettore – basta con questa faccenda del femminicidio! Bisognerebbe piuttosto ammettere che sono diminuiti...». Dunque, sarebbe assurdo preoccuparsi di un rigurgito di peste visto che nel Seicento manzoniano i morti erano più numerosi? Che cosa pensiamo della normalità che prevede dolcemente per la donna (anche in una famiglia di professionisti, non è questione di livello sociale) il sovraccarico quotidiano maggiore di impegni, ventisette ore al giorno di attività, tra lavoro fuori casa, accudimento figli e genitori, gestione economia domestica, spesa, pulizie, cena eccetera. Non c’è bisogno di essere un maschio demente e feroce né di avere un’idea padronale del rapporto tra i sessi per offendere una donna: è quel che dovremmo comunicare, da padri, ai nostri figli maschi. Ma prima dovremmo esserne impregnati noi, di questo senso di libertà. Quanti bambini e adolescenti nativi digitali, tecnologicamente all’avanguardia, ritengono – come pensavano i nostri bisnonni e nonni migliori – di essere paternalisticamente destinati, per missione genetica, a proteggere la sorella, minore o maggiore che sia: perché comunque la donna andrebbe protetta come si fa con le specie floreali e faunistiche più fragili. Dunque, ricollocando, anche a fin di bene, la questione femminile in una dinamica di potere (il più forte e il più debole...) e non in una visione di autentica eguaglianza e libertà. Cari uomini, non c’è bisogno di essere feroci – come lo sono gli uomini che uccidono le donne considerandole loro esclusiva proprietà e che con facilità allontaniamo da noi – per essere discriminanti. Non c’è bisogno di disprezzare il delitto passionale per commettere piccoli delitti giornalieri contro l’uguaglianza. Non c’è bisogno di odiare la libertà della propria compagna, fidanzata, moglie, sorella per lederla. Non c’è bisogno di essere padri o fratelli di vittime per accogliere l’appello di Lucia Annibali e far sentire la nostra voce.