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 2016  maggio 31 Martedì calendario

Nibali racconta alla Gazzetta il suo incredibile Giro d’Italia

Uno di noi. Vincenzo Nibali questo era, questo è e c’è da credere che questo rimarrà. Ovviamente in sella alla sua bicicletta è capace di imprese che gli umani fanno fatica soltanto ad immaginare, ma la visita alla Gazzetta dello Sport all’indomani del secondo trionfo in carriera al Giro d’Italia non ha fatto altro che cementificare la sensazione che proviamo da quando era una giovane promessa e abbiamo cominciato a conoscerlo: Enzo è quello di sempre. Esattamente come lo vedi. Il campione di tutti e della porta accanto, a cui successo e fama non hanno fatto per nulla perdere il contatto con la realtà e i valori con cui è cresciuto.
Lo Squalo, in jeans e camicia azzurra, arriva puntuale qualche minuto prima delle 13. C’è la moglie Rachele con la dolcissima Emma Vittoria, 2 anni e 3 mesi, che all’inizio dorme. Ci sono i manager Alex e Johnny Carera. Arrivano anche il direttore sportivo dell’Astana Giuseppe Martinelli e l’addetto stampa Geoffrey Pizzorni. E la prima confessione di Nibali, a conferma di quanto sopra, è umanissima: «Mi sono svegliato con il mal di gambe vero. Ieri dopo la tappa sono stato in piedi il resto della giornata…». E il tutto al termine di un Giro d’Italia durissimo, dove ha ottenuto forse il più imprevisto dei suoi successi, risalendo dal quarto posto a quasi cinque minuti dall’olandese Steven Kruijswijk (mancavano solo tre tappe alla fine) fino al trionfo di Torino. «Quest’uomo ci ha regalato delle emozioni straordinarie», dice il direttore della Gazzetta, Andrea Monti. Il siciliano si mangia con gli occhi il Trofeo Senza Fine, senza dubbio il più bello dei tre grandi giri: «Lo metto accanto all’altro, lo spazio ce l’ho». Saluta Mauro Vegni, il direttore della corsa Gazzetta, e lo staff organizzativo di Rcs Sport. Lascia il proprio autografo sulla Hall of Fame della rosea (stupendosi per le firme così alte rispetto al pavimento, tipo quelle della saltatrice in alto Blanka Vlasic o del cestista Marco Belinelli), ammira la storica foto del passaggio di borraccia tra Fausto Coppi e Gino Bartali e confessa di voler recuperare un «Garibaldi» (la mitica guida) di uno dei primi Giri che ha corso e che manca alla sua collezione. Poi racconta.
«Ho sofferto tantissimo – dice Nibali, che ha avuto ancora un pensiero per Rosario Costa, il ragazzino siciliano che correva nella sua squadra giovanile morto in un incidente il 15 maggio –. Chiaro però che col senno di poi è molto più bello trionfare così. A Risoul ho vinto la tappa del riscatto, verso Sant’Anna di Vinadio ho fatto la vera impresa, il capolavoro. A Torino mi sono goduto l’incredibile affetto del pubblico. A un certo punto ho smesso di leggere i giornali e di pensare alle critiche, ma dai tifosi mi sono sentito sempre molto amato. Il giorno della tappa più lunga, quella di Pinerolo, eravamo in gruppo, Visconti è venuto da me e scherzando ha detto “Te ne vai un po’ indietro che non ce la facciamo più a sentire il tuo nome…”. L’errore che mi rimprovero è stato quello di Corvara. Mi sentivo bene, ho sottovalutato gli avversari e ho speso tantissimo ad inseguirli, uno sforzo che ho pagato». Tutti pazzi per lo Squalo è lo slogan che è venuto più facile ed immediato: «Mi hanno colpito i complimenti di artisti come Jovanotti e Claudio Baglioni. E anche il premier Matteo Renzi, via messaggio e al telefono, mai mi ha fatto mancare il supporto».
Inevitabile tornare sul fondamentale ruolo della squadra. «Fondamentale è la parola giusta. Tutti, anche Valerio Agnoli che si è dovuto ritirare. E che cosa posso dire di Michele Scarponi, che a Risoul ha rinunciato a una vittoria personale. Eravamo rivali, abbiamo cominciato a conoscerci meglio al Mondiale di Firenze 2013, quando eravamo in Nazionale assieme. Senza di loro non avrei vinto. Le critiche? Non ce n’è stata una in particolare che mi ha dato fastidio, ma l’assillo che dall’inizio c’è stato nei miei confronti». Lo Squalo riavvolge il nastro: «Sembrava che dovessi dominare, ma non è così semplice. A Roccaraso non mi sono staccato, sono arrivato con Landa, eppure per qualcuno il Giro l’aveva già vinto Dumoulin. Un martellamento che non era giusto. Dopo la crono, si parlava solo di Landa. Ma io lo so, 21 giorni sono tanti, tantissimi. Non bisogna mai disperare, ma perseverare. Ricordo sempre il Giro 2010, quando ero con Basso e ci siamo trovati a recuperare 30’ di svantaggio dopo la fuga-bidone della tappa dell’Aquila. Che impresa, quella».
L’omaggio dei rivali è stato unanime. Sotto al podio di Sant’Anna di Vinadio, sabato, l’abbraccio con i genitori di Chaves prima e con Valverde poi resteranno tra le istantanee più belle. «Con Alejandro c’è guerra sportiva, ma quella finisce in bici. Poi c’è rispetto. Nella tappa di sabato aveva chiesto al mio compagno Eros Capecchi di fare da traduttore, perché pure lui voleva muoversi, voleva fare casino. Ci teneva a salire sul podio. Certo che ne ha fatti tanti nei grandi giri eh! (8, proprio come lo Squalo ma con una sola vittoria contro 4, ndr). Chaves si era capito che era forte già nel finale dello scorso anno, e non solo alla Vuelta. Al Lombardia che ho vinto, se non fosse calato nel finale, se la sarebbe giocata. E Kruijswijk… Nella prima settimana era il più forte di tutti. Glielo avevo detto a Ferretti (Giancarlo, il suo direttore sportivo alla Fassa Bortolo al debutto tra i pro’, ndr), che ho sentito al telefono. L’ho visto in difficoltà per la prima volta sull’Agnello, prima che cadesse, a causa della mia azione».
«I successi che ho ottenuto sono arrivati nei momenti di massima tranquillità, quando mi sono sentito libero dalle pressioni», sospira Enzo, che in questo senso con il successo al Giro d’Italia si è conquistato un «bonus» notevole per il resto della stagione. Detto che alla festa di domenica notte i vertici dell’Astana si sono rifatti sotto in chiave contratto (ma lo Squalo è in scadenza ed è destinato al nascente team del Bahrain con il suo gruppo), il prossimo appuntamento si chiama Tour de France (vinto nel 2014) e la cosa rappresenta una novità di rilievo nelle stagioni di Nibali. Infatti, solo nel 2008 aveva corso la Boucle (20°) dopo avere partecipato pure al Giro (11°). Si parlava di un ragazzo di neppure 24 anni, non di un campione di 31, eppure già in quella stagione si notarono i semi della straordinaria regolarità di Vincenzo nei grandi giri: otto podi su 15 partecipazioni, ma soprattutto dal 2009 non è mai uscito dai primi sette (fatta eccezione per la Vuelta 2015, non terminata a causa dell’espulsione per traino). «Anzitutto devo pensare a recuperare, poi farò il tradizionale ritiro al Passo San Pellegrino». Da programmi, non correrà più prima della Boucle e quindi non difenderà a Darfo Boario Terme, domenica 26, il tricolore conquistato nelle ultime due stagioni (mentre ci potrebbe essere Fabio Aru). Quanto all’Astana per la Francia, oltre a Nibali e Aru ci sono in prima fila – in questo momento – Fuglsang, Kangert, Grivko, Lutsenko, Tiralongo, Cataldo e Rosa.
Ma con quali ambizioni la maglia rosa si presenterà al via di sabato 2 luglio (tra 32 giorni) a Mont Saint Michel? «C’è Aru in primo piano, perché sta preparando il Tour dall’inizio della stagione. Così deve essere. Sarà la prima volta per lui in Francia. Quanto a me, vedremo strada facendo come mi sentirò. Coppi e Pantani (gli unici italiani a fare doppietta col Giro nello stesso anno, ndr)? Se penso a loro, penso a quello che sono stati e che hanno rappresentato, non certo alla doppietta». A luglio scopriremo se e come il siciliano e il sardo sapranno convivere contro Froome, Contador e Quintana. Ma di certo lo Squalo ha strasottolineato in agenda la data del 6 agosto, quella della prova olimpica in linea di Rio de Janeiro (e resta in piedi l’ipotesi che faccia pure la crono del 10): «Il percorso non è duro, ma durissimo. Ci sono tra l’altro quasi 3 km di pavé vero, tanto che potremmo valutare pure un cambio di bicicletta. Più duro di Liegi o Lombardia? Sarà diverso perché le squadre al massimo saranno di 5 corridori, molto complesso controllare la corsa. Per l’oro ci vorrà la giornata perfetta».
Sicuramente l’alloro olimpico – per quello Mondiale, sfumata l’occasione di Firenze 2013 (quarto), bisognerà aspettare il duro percorso austriaco del 2018 – renderebbe difficilmente imitabile un palmares già straordinario. E a tal proposito viene a pennello il motto citato da Nibali nell’intervista video a gazzetta.it a proposito di che cosa gli piacerebbe vincere, ancora o di nuovo. È un motto fatto proprio dai Cannibali, lo storico fan club di Mastromarco (Pistoia) che segue lo Squalo ovunque. «Uno di tutto», dice sorridente Vincenzo, non nascondendo la voglia di accrescere ma soprattutto di ampliare il palmares. Niente, a pensarci bene, lo farebbe meglio di un oro olimpico. Ma tranquilli: neppure quello avrebbe il potere di cambiarlo.