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 2016  maggio 31 Martedì calendario

Schiavisti sì ma tecnologici. Così il Califfato vende le schiave su Facebook per fare soldi

Cosa si fa quando il datore di lavoro ti taglia lo stipendio? Si vende l’argenteria di famiglia, o la macchina, o comunque qualcosa di valore che non ci può permettere. E oggi, nell’epoca di Internet, quale miglior strumento di Facebook, per trovare un acquirente? Ed è così che un jihadista ha pensato bene di mettere all’incanto due prigioniere. Prezzo: 8.000 dollari l’una. Lo sapete perché l’annuncio è stato subito coperto di improperi on line? Diamine, aveva mostrato le due ragazze, età apparente sui 18 anni, presumibilmente yazide, una con chiare tracce in viso di maltrattamenti, senza velo. Il «grave peccato» era quello: non il sequestro di persona, lo stupro, la schiavitù o il commercio di carne umana!
Per capire come siamo arrivati all’allucinante notizia filtrata dal Washington Post bisogna innanzitutto ricordare quando lo scorso dicembre la Reuters rese nota la «Fatwa numero 64»: un documento che era stato in realtà emanato il 29 gennaio 2015, era stata trovato nel maggio successivo dalle forze speciali Usa durante un raid nella casa di un membro dell’Isis, e dava indicazioni su come trattare le schiave. «Domanda: alcuni dei fratelli hanno commesso violazioni in materia di trattamento delle schiave femmine. Queste violazioni non sono permesse dalla Legge della sharia, perché queste regole non sono mai state messe in discussione nel corso dei secoli. Ci sono alcune avvertenze che riguardano questa materia? Possa Allah proteggervi», attaccava il documento. E giù una serie di 15 regole su come trattare le prigioniere, nella convinzione che la cattura di donne e figlie di infedeli sia un segnale delle benevolenza di Allah. Ma se non si rispettano le norme della sharia, il lecito diventa illecito. La vendita della schiava è appunto permessa: salvo che la donna abbia già fatto un figlio al suo padrone, o se ci sia il rischio di «venderla a un individuo di cui sa che la tratterà male o farà su di lei qualcosa che Allah proibisce». A gennaio era stato poi l’Independent a rendere noto un documento diffuso a Raqqa dal Bayt Mal, il ministero delle Finanze dell’Isis, in cui si spiegava la necessità di ridurre gli stipendi ai miliziani del 50%: sia per il crollo dei prezzi del greggio di cui l’Isis faceva contrabbando, sia per i bombardamenti con cui gli americani hanno sbriciolato gli edifici in cui l’Isis teneva le sue riserve valutarie.
Ulteriori rovesci hanno costretto lo Stato islamico a fare tagli ulteriori. Così, le foto delle schiave all’incanto sono state postate su Facebook da un tale Abu Assad Almani, «Abu Assad il Tedesco». «A tutti i fratelli che pensano di comprare una schiava, eccovene qui una a 8.000 dollari», ha scritto il 20 maggio, pubblicando poi in capo a poche ore il secondo annuncio: «un’altra schiava, anche attorno agli 8000 dollari. Si o no?». Nel frattempo, prima che Facebook se ne accorgesse e facesse in tempo a togliere la pagina, si era scatenato un acre dibattito on line. Non, come ricordato, per la barbarie della proposta, ma per l’oscenità del volto scoperto, e anche per i prezzi. «Ma le valgono? Che hanno qualche abilità particolare». «No, i prezzi li fa la domanda e l’offerta». Schiavisti ma tecnologici e, soprattutto, imprenditoriali.