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 2016  maggio 31 Martedì calendario

«Ci sono voluti tanti anni per diventare giovane». Stefania Sandrelli e i suoi primi settant’anni

Materna, seduttiva, istintiva, coraggiosa, «scandalosa»: Stefania Sandrelli. Il 5 giugno compie 70 anni. Festeggerà a tappe: dal Nastro d’oro al Premio Fiesole ai maestri del cinema, per la prima volta a una donna.
Che effetto fa avere gli stessi anni della Repubblica?
«Sono fortunata, come al solito. L’anniversario del 2 giugno in passato si portava dietro il dubbio, le rivendicazioni dei monarchici, la possibilità del broglio. Il 5, quando sono nata io, il risultato fu assodato. Mi sento sostenuta, in compagnia di una cosa bella: bisognerebbe avere una visione un po’ più ampia, e imparare qualcosa dalla Storia».
«Divorzio all’italiana» e «Sedotta e abbandonata», due capolavori di Pietro Germi. Lei era una ragazzina di 15 anni: come si gestì?
«Il senso del lavoro lo avevo dalla mia famiglia. Ero preparatissima come spettatrice, come attrice no. Tra un ciak e l’altro me ne andavo a comprare un gelato o le catenine di corallo. Facevo impazzire Germi, che aveva visto una mia foto e mi chiamò per il provino. Io, dandogli del “lei”, gli dicevo: Senta, fino a due giorni fa ero nella mia Viareggio, non può pretendere più di tanto».
Germi, Monicelli, Comencini, Scola, Bertolucci.
«Bernardo è uno che cambia molto, non resta mai uguale a se stesso. Ha una bella elasticità, che è una marcia in più. Germi mi incantava: cantava, piangeva, rideva. Monicelli non era burbero come si dice. Sul set di C’eravamo tanto amati di Scola si parlava di diritti, di fascismo e antifascismo. Tutti questi registi avevano in comune la passione. Era una staffetta, nessuno mi ha fatto rimpiangere l’altro».
Gassman, Tognazzi, Mastroianni.
«Tutti mi hanno dato qualcosa. L’attore che mi somiglia di più è Mastroianni. Per la naturalezza? Forse. Ma, come me, un po’ c’era e un po’ ci faceva. Non ci prendevamo sul serio, anche lui indolente, con picchi di esuberanza, poi si illanguidiva. L’ultima volta eravamo a casa sua. Dopo cena chiamai un taxi. Mi inseguì, si tolse gli occhiali, non smetteva di lacrimare: non farti mai toccare da nessuno, mi disse».
«Novecento» è l’incontro con De Niro e Depardieu.
«Robert non sapevo chi fosse, eravamo in auto e esclamai: come sei carino. Gérard con la scusa che nel film ero sua moglie mi metteva sotto il tabarro e smanacciava alquanto».
«La chiave» di Tinto Brass fu un atto di coraggio?
«Una sfida inconsapevole. Quel copione mi piacque molto, c’era un disegno ironico. Mi richiamò per Miranda, ma quando è troppo è troppo».
Il nudo non l’ha mai imbarazzata.
«Mi è capitato in spiaggia il topless, a volte il nudo integrale e sono finita sui giornaletti. Ma da lì a farmi pagare, mai. È una vita che mi offrono Playboy e Playmen, la bella tardoncella di 40 e anche 50 anni. Non avrei potuto mettermi in posa come un pollo arrosto».
Si dispiacque per il suo «no» a «Il padrino» e «Il portiere di notte»?
«No, affatto. La parte per Il Padrino era uguale identica a Sedotta e abbandonata. A Coppola dissi: sono la vergine nazionale, non posso diventare la vergine internazionale. Lui non me ne ha mai voluto. Per la Cavani, stavo allattando mio figlio Vito, ero magrissima. Con me c’è bisogno di dosare bene il racconto con l’intellettualismo, che prevaleva. Troppo noir per il mio gusto».
I ruoli di nonna…
«Ho cominciato presto. In La famiglia di Scola il truccatore a fine giornata mi voleva togliere le rughe. Gli dissi di lasciarmele. Arrivai a casa e non trovai nessuno. Restai vecchia e sola».
Come festeggerà?
«Ho 70 anni e sono felice e orgogliosa di esserci arrivata come sono. Come diceva Picasso, ci sono voluti tanti anni per diventare giovane. In fondo sono una bambina, ieri mi sono regalata un lupo di peluche. Ho invitato gli amici in un locale di Roma. Adoro ballare. Metterò la canzone Seven Years Old, perché settant’anni sono volati».