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 2016  maggio 31 Martedì calendario

Come ha fatto Murakami a diventare Murakami? In libreria le sue storie d’esordio, quelle che spiegano tutto

Murakami diventa Murakami in un modo del tutto improbabile, come potrebbe accadere al protagonista di un suo romanzo: viene folgorato dal dio della letteratura in uno stadio di baseball. L’annunciazione arrivò senza alcun preavviso: aveva 29 anni e non aveva mai scritto una riga, né l’aveva sognato. Fino ad allora era stato un ragazzo intraprendente: sposato giovanissimo, si era riempito di debiti per aprire un localino a Tokyo dove offriva alcolici e l’amatissimo jazz ai clienti. «Sentivamo che alla fine ce l’avremmo fatta»: gli affari andavano bene, la strada del futuro sembrava segnata. Ma durante una partita della squadra del cuore, gli Yakult Swallows, si manifestò il destino. Gli Swallows (rondini in inglese) erano brocchi assoluti. Quel giorno però erano in forma: il primo battitore conquistò una splendida seconda base ed accese una lampadina. «Fu in quel momento che senza alcuna ragione al mondo tutt’a un tratto pensai: sì, anche io posso scrivere un romanzo».
«Senza alcuna ragione al mondo». Queste cinque parole diventeranno il mantra dello scrittore: nel cui universo le cose accadono, se accadono, senza spiegazioni. È una componente essenziale dello stile della casa, l’inconfondibile Murakami- touch. Anche questo nato da un’illuminazione improvvisa: cominciò a scrivere sul tavolo di cucina il suo primo romanzo, ma lo trovò talmente noioso, imbalsamato in una lingua troppo colta e letteraria, da cestinarlo. Decise allora di scrivere in inglese, anche se non lo padroneggiava alla perfezione. Quindi vocabolario ridotto all’osso, frasi brevi, costruzioni semplici. «Trasportai l’inglese nel giapponese: operazione che fece inevitabilmente nascere un nuovo stile di scrittura. Un mio stile originale… In quel momento mi cadde un velo dagli occhi».
Murakami, dunque, trova se stesso esiliandosi in una lingua straniera. Da quest’operazione di raffreddamento, di scarnificazione della parola ridotta all’osso nascono i suoi primi romanzi Ascolta la canzone del vento e, un anno dopo, Flipper, 1973. Sono passati 40 anni, ed ora che è diventato un autore carismatico, capace di suscitare entusiasmi assoluti o altrettanto assolute denigrazioni, ha deciso di disseppellirli e di svelare – nell’introduzione al volume – il segreto della sua iniziazione letteraria, ( Vento & Flipper, Einaudi, trad. di Antonietta Pastore, pagg. 240, euro 19,50).
Rimettere in piazza i propri esordi è un’operazione ad alto rischio. I detrattori avranno buon gioco a scovarne vizi e difetti e a dire, ad esempio, che nel primo romanzo non accade nulla di nulla. Gli addetti al culto invece si appassioneranno a cercare i germi dello scrittore che verrà. Ne possono trovare molti. La colonna sonora, per esempio: brano per brano, autore per autore, c’è sempre una musica che corre nelle pagine dello scrittore. O i protagonisti: ragazzi sperduti in un orizzonte troppo vasto che non offre bussole, significati, speranze. Quante volte abbiamo incontrato nei romanzi di Murakami gli esemplari solitari di una generazione urbana senza sogni e quasi senza amici. Il suo è un panorama di anoressici emotivi, di ragazzi che si sentono fuori luogo, di esistenze sfuocate messe ai margini nel mondo.
L’io narrante e il suo amico (detto il Sorcio), passano le giornate tra chiacchiere inconcludenti e troppe birre. Sono lontani anni-luce da ogni psicologia e da ogni passione: gli amori nascono per caso d’estate e finiscono in autunno, quasi per distrazione. La loro è una melanconia in fuga da ogni dolore. Alla fidanzata che si uccide a 21 anni sono dedicate poche laconiche righe: «nessuno sa perché sia morta, dubito persino che lo sapesse lei stessa». L’unica cosa a cui si aggrappano è la letteratura: scrivono romanzi per sfuggire all’afasia che li insegue. «C’era un’epoca – dice uno dei due – in cui tutti volevano essere cool … finché un giorno ho scoperto di essere diventato una di quelle persone che non riescono a esprimere nemmeno la metà di quello che pensano. È per questo che sto scrivendo tutto questo…». L’ispiratore è Derek Heartfield, un romanziere morto a 29 anni (sì, ancora un suicidio): ma è un autore immaginario, Murakami ne inventa biografia, titoli, trame e citazioni. Una fra tutte è rivelatrice: «Sul più sacro fra i più sacri libri di casa mia, l’elenco del telefono, giuro di dire la verità. La vita è vuota».
Ecco perché nel romanzo non accade niente: è la vita vuota la vera protagonista di Ascolta la canzone del vento. Lo scrittore ce la svela indugiando in descrizioni puntigliose di ogni gesto, per insignificante che sia. Ogni sigaretta accesa, ogni birra stappata, ogni camicia indossata, ogni minuto che passa: tutto ci viene raccontato nei minimi particolari. Ci vuole, evidentemente, un’attenzione zen per avvicinarsi al nulla.
Questa ossessione del dettaglio si accentua ancora di più in Flipper, 1973 che, anche se è un se- quel del primo romanzo, cambia registro e vede affacciarsi i temi classici del Murakami futuro. Nell’iperrealismo descrittivo affiorano particolari incongrui, lievemente allucinatori, spiazzanti. Misteriosamente due gemelle piombano a casa e nel letto del protagonista, organizzano i funerali ad una centralina telefonica e poi ripartono, altrettanto misteriosamente. Come sono arrivate? Perché se ne vanno? Non chiedetelo a Murakami né al suo eroe: la vita gli scorre addosso come acqua, lui sembra pronto ad accettare qualsiasi cosa gli offra, senza mai combattere per averla o per contrastarla. Solo una passione l’accende: quello per lo Spaceship, un flipper ormai fuori produzione con cui sogna di poter rigiocare ancora una volta. Ma quando finalmente lo trova (meravigliose le pagine che descrivono il deposito dei flipper), si accontenta di guardarlo. La macchina gli parla: «È così strano, è come se le cose non fossero accadute veramente». Niente partita, game over. E qui siamo in piena atmosfera Murakami: la lucida, banale, superficie della realtà poggia su un mondo incerto, illogico, insondabile. Sotto la gelida evidenza delle cose si agita la misteriosa vita della surrealtà.
D’altronde è stato un mistero a trasformare un giovane commerciante in Murakami. Tra Vento e
Flipper aveva avuto una seconda illuminazione: arrivò quando accudì un piccione ferito trovato per strada. «Sentivo tra le mani il suo calore, il tremito leggero… Fu in quel momento che pensai: diventerò uno scrittore e avrò successo». Prima le rondini del baseball, poi il piccione. Sono sempre dei messaggeri celesti a rivelare all’autore il suo destino. Troppo simbolico per essere vero? Andiamo, la domanda è irrilevante: nel mondo di Murakami non ha senso chiederlo. Qui ogni cosa è reale perché non lo è.
Fino ai 29 anni non aveva scritto una riga. Gestiva un locale a Tokyo