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 2016  maggio 31 Martedì calendario

Non c’è pace sul tetto del mondo: i morti dell’Everest sono già sette

Il gran circo dell’alta quota ha smontato il tendone. Lo spettacolo sull’Everest è finito, riparte la tournée. Dopo due anni di solitudine, il tetto del mondo è stato assalito nell’ultimo mese da oltre 400 persone. Sugli 8.848 metri della “Dea madre del mondo”, Sagarmatha come lo chiamano le popolazioni nepalesi, per due stagioni aveva soffiato solo il vento. Una catastrofica valanga nell’aprile 2014 aveva ucciso 13 sherpa sull’Icefall, l’anno dopo era stato il terremoto a scuotere la montagna e 22 alpinisti finirono travolti al campo base dal crollo della seraccata, molti chiusi ancora nelle loro tende. In entrambi i casi tutte le spedizioni fecero i bagagli e tornarono a casa.
Quest’anno c’è stata la corsa. Ma la folla, su un 8mila, annuncia sempre qualche croce. Sette sarebbero i “morti da Everest” di questa stagione, è andata peggio in passato. Ma è il conto macabro che la montagna impone. Ce n’è per tutti: clienti delle spedizioni commerciali, sherpa, alpinisti professionisti.
Anche e purtroppo per Maria Elizabeth Strydom: australiana, docente universitaria, era partita per dimostrare la possibilità di salire una grande montagna anche per una vegana come lei. Alpinista preparata – puntava a salire le “ Seven summits”, le vette più alte dei 7 continenti – si è spenta nei pressi del campo 4 dopo essersi sentita male in quota, mentre attendeva il ritorno del marito, vegano lui pure. L’ha uccisa un ictus, dopo la cecità da neve che l’aveva colpita qualche ora prima. Robert Gropel – secondo il quotidiano inglese The Guardian — le aveva chiesto di poter continuare: «Da qui la cima non sembra lontana». La dieta non c’entra, forse ci sarebbe da dire della solidarietà che svapora agli 8mila metri, ma il dibattito scatenato sul web straparla di carne e verdure. Dimenticando che tanti anche in passato hanno provato a nutrirsi senza alimenti di origine animale. La dimostrazione che si può fare arriva da Kuntal Joisher, alpinista vegano di Mumbai: anche lui è riuscito ad arrivare in vetta il 19 maggio.
Con Strydom e Joisher, erano centinaia nelle tende alla base della montagna: 464 se ne sono contati. E per lunghe settimane, fino all’inizio di maggio, hanno dovuto aspettare. Gli icefall doctor, sherpa incaricati di stendere le corde fisse utilizzate dai clienti delle spedizioni commerciali – ma anche da tanti alpinisti professionisti – per trascinarsi sul ghiacciaio verso la cima, hanno stentato a terminare il lavoro. Il tempo pessimo e le continue nevicate hanno rischiato di rimandare a casa ancora una volta gli aspiranti summiteer che pagano fino a 85mila dollari agli organizzatori delle trasferte himalayane. Finché l’annuncio dei meteorologi di una finestra di bel tempo ha spinto gli icefall doctor a finire di attrezzare la montagna e la processione verso la cima è cominciata. Le foto piovute sui social mostrano cortei di omini colorati che tagliano il pendio bianco, fanno la coda per passare sulle scale metalliche ad attraversare i crepacci, sostano pericolosamente sotto il tiro dei seracchi, si affollano nei pochi punti difficili della salita lungo la via normale nepalese. Nelle settimane scorse perfino il passaggio chiave, Hillary step, il salto roccioso di circa 10 metri, a pochissimo dalla vetta, ultimo e spesso insormontabile ostacolo alla vittoria, è sembrato addolcirsi. Anziché una piccola parete verticale, chi è rientrato racconta di aver trovato un pendio perlopiù nevoso, colpa o merito del terremoto e delle abbondanti precipitazioni di aprile. Tutti su, dunque, ogni alpinista – o turista degli 8mila – scortato da due sherpa ed equipaggiato di bombole d’ossigeno rinnovate di campo in campo. A metà maggio in cima sono arrivati in 88, ha comunicato il governo nepalese che tiene puntualmente il conto di chi sale e delle royalties versate nelle casse dello Stato: 52 tra guide e portatori e 36 alpinisti. Nella prima parte del mese si è anche scatenata una sindrome collettiva da mal di montagna, riferisce il portale specializzato Montagna. tv. «Oltre 400 persone hanno accusato sintomatologie connesse con l’ipossia, la mancanza di ossigeno». Nausea, vomito, perdita di appetito, insonnia, mal di testa persistente, vertigini: errori di acclimatazione, probabilmente. Superata quella, gli 88 di metà maggio sono arrivati alla fine a superare i 400. Dal 1953, anno della prima salita di Hillary e Tenzing, alla fine degli anni Settanta ne erano saliti appena 104. Non c’è pace sul tetto del mondo.