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 2016  maggio 31 Martedì calendario

Roma, una poltrona per cinque candidati concentrati più sulla distruzione degli avversari che sull’ambizione di risollevare la città. Stasera il confronto su Sky

La fotografia di una frana. Nell’era dell’incertezza – politica ed economica – che ormai influenza le elezioni locali a tutte le latitudini, il voto nella capitale d’Italia è forse quello che più d’ogni altro restituisce il senso della valanga incombente.Non solo perché degli schieramenti che nell’ultimo quarto di secolo si sono contesi il Campidoglio non c’è più traccia, travolti dall’astio tra ex alleati. Ma soprattutto perché il glorioso “modello Roma” di Rutelli e Veltroni ha fatto il suo tempo, le ultime giunte di Alemanno e Marino sono state uccise da inettitudine e inchieste, il vento di protesta che soffia forte dalle periferie gonfia le vele ai 5 Stelle. Una miscela di caos e degrado, in cui i punti fermi restano il debito stratosferico, oltre 13 miliardi ancora da pagare; aziende di servizi ridotte a carrozzoni clientelari coi conti in perenne rosso; mala gestione diffusa che ha tramutato i problemi ordinari – rifiuti, trasporti, buche – in autentiche emergenze.E perciò nella sinistra, orfana dell’asse che per tre lustri ha amministrato Roma, i competitor sono due: Stefano Fassina per l’ala radicale e Roberto Giachetti con una coalizione più ampia a trazione renziana, impegnati a scambiarsi reciproche accuse («Mai col Pd, neppure al ballottaggio»; «Tu vuoi solo farci perdere»). A destra, complice il declino berlusconiano, corrono sia la leader di Fdi Giorgia Meloni in tandem con la Lega, sia il civico Alfio Marchini, appoggiato da Fi dopo il ritiro di Guido Bertolaso, che non si risparmiano fendenti in diretta tv: «Tu sei una politica, serve qualcosa di diverso», ha attaccato uno a Domenica Live; «i romani sanno chi sono, io non nascondo la Ferrari», la replica piccata dell’altra. E poi c’è il Movimento 5 stelle, capitanato nell’Urbe da Virginia Raggi, ma solo formalmente: il famoso contratto con la Casaleggio Associati, sottoscritto per sua stessa ammissione, delega tutte le decisioni importanti del futuro sindaco a un direttorio composto da parlamentari e consiglieri regionali, inclusa la clausola, già firmata in bianco, di dimissioni immediate qualora Grillo le chiedesse. «È teleguidata da Milano», hanno subito attaccato gli sfidanti. «Ma Roma per essere governata al meglio ha bisogno di tutti i livelli istituzionali», si è indignata lei.Cinque eserciti, concentrati più nella distruzione degli avversari che sull’ambizione di risollevare la città, in grado di trasformare la battaglia capitale in un test fondamentale per ristabilire equilibri e confini, anche nazionali: il laboratorio politico dell’Italia che verrà. Con il M5s a giocarsi il tutto per tutto, convinto che sbancare a Roma significhi prendersi il governo del Paese; il centrodestra a contendersi la leadership di una coalizione che l’-I-talicum impone di ricostruire; il Pd a puntare sulla riduzione del danno, proponendosi come l’unico capace di esprimere buona amministrazione con un mix di esperienza (quella che ha richiamato in servizio la “rossa” Livia Turco e l’ex assessore Sabella, nomi di una giunta presentata in anticipo), proposte concrete, bonifica di un partito macchiato da Mafia Capitale, oltre che dalla deposizione del “suo” sindaco. E di farlo, soprattutto, con l’appoggio del premier Renzi. Che, dopo aver schierato i ministri, domani sarà a fianco di Giachetti per la prechiusura della campagna all’auditorium Conciliazione.Il segno che «il clima è cambiato, siamo in rimonta», segnala l’aspirante sindaco di centrosinistra. Lo stesso clima che ha invece consigliato Grillo a disertare la kermesse a 5 Stelle, venerdì, in piazza del Popolo. Troppe le scivolate della Raggi. Feroci i dissidi interni al Movimento. Non più esplosivi i sondaggi che li davano in marcia trionfale verso il Campidoglio, sull’onda vip di Ferilli e Mannoia. Tutto si è fatto più difficile. Incerto. Contendibile.Uno schema quadripolare che ha trasformato la partita romana in una mano di poker. Dove a fare la differenza saranno la credibilità dei candidati e i programmi. Originali e spesso stravaganti come la funivia Casaletto-Boccea, copyright Raggi, per velocizzare i trasporti alla periferia nord-ovest; o gli assessori-yogurt, con data di scadenza stampigliata sopra, che saranno «in tutto nove, più uno pro-tempore, grazie ad accorpamenti e semplificazioni: il manuale Cencelli lo lasciamo agli altri partiti», ha proclamato ieri. Oppure il sogno della Meloni di portare la differenziata al 75% in cinque anni, abbassando la tariffa del 20%, in una città che paga le tasse comunali più alte d’Italia e in questi giorni consiglia di tenere la spazzatura in casa perché i netturbini sono in sciopero. O ancora la promessa di Giachetti di tenere le scuole aperte anche il pomeriggio, a dispetto delle maestre in rivolta per il salario bloccato da 7 anni. Per non parlare dei 101 punti di Marchini, che chiuderà venerdì a Ostia con Berlusconi, Pupo e Ivana Spagna: una squadra di super-tecnici prestati alla politica e referenti di quartiere per risolvere i problemi spiccioli Tutti infine concordi, salvo sfumature, che le partecipate vadano razionalizzate, «mai dismesse» ribadisce Fassina: i dipendenti sono 60mila, guai a inimicarseli. Specie al primo turno. Un pugno di voti a decidere chi passa e chi no. Quelli che stasera, per la prima volta, litigheranno tra loro su Sky, l’unico confronto tra i cinque principali sfidanti accettato dalla Raggi. La grillina in fuga da 3 mesi.