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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Capire perché abbiamo scelto di stare dalla parte del Male col «Nodo alla gola» di Hitchcock

Ogni volta che comincia una serie tv o vediamo un film dove ci sono personaggi che hanno a che fare con il Male e che spingono lo spettatore a stare dalla parte di chi lo compie, viene fuori sempre la questione se nel presente ci sia una debolezza etica che si compiace di stare dalla parte del Male, o che addirittura spinga a identificarsi con il Male. Si finisce per discutere se sia giusto o no, se bisogna mettere in scena personaggi come Ciro di Gomorra, Scarface o anche Frank Underwood di House of Cards, e quanti altri diventano degli eroi anche se ammazzano, corrompono, imbrogliano, torturano. È il modo di parlare del presente, diciamo sempre. Come se volessimo dire: c’è una decadenza del costume, l’umanità è peggiorata, siamo diventati tutti più cinici.
E allora forse bisogna andare indietro nel tempo e raccontare di un film del 1948, cioè di quasi settant’anni fa: Nodo alla gola di Alfred Hitchcock. Perché in quel film questa scelta viene portata addirittura in un punto dove film di oggi non sono ancora arrivati.
Nodo alla gola è un film particolare perché girato con undici piani sequenza. Quindi è un film in unità di spazio, tempo e luogo: a casa di due studenti giovani, o di uno di loro, la cosa rimane poco chiara perché la relazione tra i due è di evidente natura omosessuale (ma tutto resta implicito, è ovvio).
Il film comincia con la macchina da presa che entra in casa perché attratta da un urlo. Da quel momento in poi rimarrà lì dentro per meno di un’ora e mezza (la durata del film) e seguirà gli eventi in tempo reale. La prima scena a cui assistiamo è quella dei due giovani che stringono la corda (il nodo alla gola, appunto) intorno al collo di un altro giovane, David. Lo hanno appena strangolato. Gli sfilano la corda e lo infilano dentro la cassapanca del salone. Le questioni sono varie: la prima è che pare sia successo un battibecco, ma la verità è che i due indossano guanti, quindi non sembra un incidente. Si capisce invece che questo delitto è legato anche alle teorie un po’ strane del loro vecchio tutore di collegio, che sosteneva che le persone speciali possono eliminare quelle normali. E infatti Brandon, uno dei due, dice: «I David di questo mondo non fanno altro che occupare spazio», come a dire: lui era una persona mediocre e non serviva a niente. Il teorico è il professor Cadell (ed è James Stewart) e sta per arrivare a cena; come a cena stanno per arrivare i genitori di David, la fidanzata di David e il suo ex, che Brandon si è divertito a invitare per provare a farli tornare insieme – visto che David non ci sarà più, ma nessuno per ora può saperlo.
Sta per tornare anche la cameriera, che aveva già preparato una bella tavola da buffet nello spazio antistante la cucina, come al solito. Ma ecco l’idea geniale di Brandon: mettiamo i libri che devo mostrare al padre di David (che stavano nella cassapanca) sul tavolo del tinello, e apparecchiamo il buffet sulla cassapanca, così nessuno potrà aprirla. E poi stanotte ci libereremo del cadavere.
Ecco. Il punto di vista. Noi spettatori siamo con Brandon e Philip dall’inizio del film, e adesso entra la cameriera e poi arrivano gli altri invitati. Ma già quando entra la cameriera, noi – è il punto di vista che spinge a questo – la sentiamo come un corpo estraneo. Noi siamo con Brandon e Philip, sappiamo con loro che c’è il cadavere di David nascosto nella cassapanca. Loro non vogliono farsi scoprire? Vogliono salvarsi? Istintivamente, anche noi vogliamo così. Poiché sono i nostri personaggi, poiché abbiamo assistito a ciò che hanno fatto, poiché sappiamo quello che sanno loro, l’istinto ci porta a stare dalla parte loro.
Arrivano gli ospiti con varie storie e tensioni che qui non interessano. Il padre di David arriva con la cognata perché la moglie è a casa con un forte raffreddore (e probabilmente in sceneggiatura si è deciso che in una situazione così forte una madre era meglio non metterla). Il professor Cadell nota subito un’aria strana e diventa sospettoso – è James Stewart, il nostro eroe, e noi dovremmo avere l’istinto di urlargli: guarda dentro la cassapanca! E invece ci scopriamo a pensare, in sintonia con i due nervosissimi protagonisti: speriamo di farla franca. Questo è il cinema, questo è il punto di vista, e nessuno può farci nulla.
Ovviamente sono tutti preoccupati per David che non arriva e non ha avvertito, la tensione continua a crescere. E a un certo punto la cameriera si sfoga con il professor Cadell; dice: non trova assurdo che abbiano apparecchiato di qua? Così mi fanno fare il doppio del lavoro perché adesso devo riportare i libri qui e metterli nella cassapanca e portare tutti i piatti di là in cucina.
Questo è un momento importante del film. Perché Hitchcock fa in modo che la cameriera spieghi bene cosa sarà costretta a fare tra poco, per due motivi: ci annuncia che aprirà la cassapanca – e quindi noi ci sentiamo in allarme (quindi ancora più complici degli assassini); ma la seconda finalità è la più importante: Hitchcock vuole che siamo preparati, perché vuole che ci godiamo la scena che sta per arrivare in piena consapevolezza e fin dal primo secondo. E infatti quando la cameriera si stacca dagli altri e comincia a fare quello che ha annunciato, noi siamo subito irrigiditi nella poltrona.
Perché è la scena più insensata e allo stesso tempo una delle più belle della storia del cinema. E soprattutto è la scena che rimane insuperata per dove spinge lo spettatore, rispetto alla complicità con il Male. Ma non ci viene mostrato nulla di forte, anzi: per questo è una scena insensata. Perché vedremo esattamente quello che la cameriera ha appena annunciato che farà. E lo vedremo con la macchina da presa piazzata accanto alla cassapanca che inquadra il salone, il tinello dove c’è il tavolo, e la cucina quando la porta si apre e la cameriera depositerà le stoviglie sporche. Questo vedremo. E però ogni passo della cameriera, ogni stoviglia riposta, ogni pila di libri messa qui sopra la cassapanca, ogni candelabro spento e portato di là, ci fa avvicinare al momento in cui la cameriera aprirà la cassapanca. E la vediamo andare avanti e indietro, raccogliere le cose, portarle, riportarle. E alla fine avrà messo tutti i libri di qua, avrà tolto la tovaglia e l’avrà portata di là, e ora è pronta, si sta avvicinando alla cassapanca, tra pochissimi secondi prenderà i libri e aprirà la cassapanca. La tensione è gigantesca.
Ma cos’è che rende questa scena unica, spettacolare, significativa, insuperata? È una scena che di solito da un film si taglia per la sua meccanicità e meticolosità quotidiana. Ma che la suspense rende grandiosa.
Ma non basta.
C’è altro.
Nella scena si intravede solo la spalla, sulla destra, del professor Cadell. Il quale sta parlando di David con i due assassini e con gli altri; sta incalzando i due con le domande. Noi dovremmo stare attenti a loro, ma invece stiamo assistendo alle operazioni pratiche della cameriera. Ma nella posizione in cui è, Cadell copre la visuale a tutti gli altri, e comunque la discussione spinge tutti – fuori dal nostro campo visivo – ad accalorarsi, ed essendo impegnati, nessuno si accorge di ciò che sta facendo la cameriera. Quindi non solo la cameriera sta per aprire la cassapanca, ma poiché nessuno se n’è accorto, poiché i due assassini non se ne sono accorti, nessuno può fermarla.
Ma in realtà – è questa la questione – c’è qualcuno che lo sa.
Noi.
Noi spettatori.
Finora abbiamo avuto le stesse informazioni dei due protagonisti e per questo, malgrado la nostra etica, abbiamo finito per patire insieme a loro. Ma adesso loro sono distratti e questa informazione ce l’abbiamo solo noi. Abbiamo fatto un passo in più dei due assassini, un passo che adesso è decisivo perché noi in questo momento siamo in possesso di tutte le informazioni che servono. Solo noi spettatori ci rendiamo conto di ciò che sta per accadere. Non abbiamo più il legame con i due giovani. Si sono distratti e ci hanno lasciati soli. Noi adesso siamo qui, da soli, a decidere cosa pensare, cosa fare. Non è una cosa che accade spesso nel cinema, un momento in cui lo spettatore fa questo salto in avanti rispetto ai personaggi in cui si è identificato fino a quel momento.
In Nodo alla gola, Hitchcock ci fa fare questo salto: il nostro punto di vista supera quello degli assassini, restiamo soli davanti al Male e quindi adesso siamo liberi di scegliere: se vogliamo che la cassapanca venga aperta o no. Ma poiché finora abbiamo partecipato della tensione dei due, siamo stati dalla parte degli assassini, non diciamo: bene, è giusto che la apra, è giusto che vengano scoperti e arrestati, sono due assassini. Ma al contrario, ci viene voglia di urlare ai due: fate presto, accorrete, state attenti, non vedete? Insomma diciamo con apprensione: speriamo che non la apra.
La cameriera è accanto alla cassapanca e sta prendendo i libri e con una mano dovrebbe aprirla, e a quel punto è il professor Cadell che si gira e dice: la aiuto. E quindi alza, sta per alzare la cassapanca ma proprio un secondo prima che succeda arriva Brandon che, freddo, la tiene chiusa con dolcezza e dice alla cameriera: non c’è bisogno di farlo ora, lo farà domattina, quando noi andremo in campagna.
E noi ci sentiamo sollevati. E ci rendiamo improvvisamente conto che stavolta non è successo per empatia con i protagonisti – cioè i nostri (cattivi) eroi – ma, ormai lasciati soli, siamo rimasti liberamente dalla parte del Male. Non volevamo che li scoprissero. Ed è una sensazione, una scelta totalmente autonoma stavolta.
È Hitchcock che ci ha portati fin qui. Ci ha prima spinti a stare dalla parte dei due assassini e poi, quando eravamo ormai dentro, ci ha perfino lasciati da soli per vedere cosa facevamo; e noi abbiamo detto, quando Brandon è arrivato in tempo: meno male.
Ecco: a questo punto è come se avessimo imparato a ragionare da assassini. Senza Ciro o Scarface o chi altri. Hitchcock ha fatto questo film perché voleva che noi arrivassimo a questo. Voleva dimostrarci che potevamo sentire questo.
Poi Cadell, nel finale, scoprirà cosa è successo e dovrà fare una lunga faticosa tirata per provare a riportare non i due, ma noi spettatori, dalla parte giusta. Ma Hitchcock è soddisfatto, perché sa che ormai è troppo tardi.