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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Così gli americani guardavano alla svolta della Bolognina

L’Impero americano è da sempre pragmatico, oltre che occhiuto. Così gli Stati Uniti, nemmeno una settimana dopo la fatidica svolta di Achille Occhetto alla Bolognina, vanno subito al cuore del problema e s’interrogano sull’ipotesi di un governo di sinistra nel nostro Paese. Il 18 novembre 1989, l’ambasciatore italiano Peter Secchia spedisce al Dipartimento di Stato di Washington un cablo intitolato: “I socialisti italiani riflettono sull’impatto che potrebbe avere il cambiamento di nome dei comunisti”. Per gli Usa, il Psi di Bettino Craxi resta un partito leale e amico.
“Non li faremo entrare nell’Internazionale”
Il documento si apre con le valutazioni di Ugo Intini, all’epoca famoso per essere il portavoce del Psi. Riassume Secchia: “I leader socialisti ci hanno riferito che se Occhetto avesse seriamente pensato alla formazione di un’alternativa, egli avrebbe fatto meglio a dialogare direttamente con il Psi invece di andare in giro a corteggiare i socialisti europei. Ragione per cui il Psi ha sempre riferito che in caso di domanda avanzata da Occhetto, la risposta sarebbe stata negativa. Intini ha chiarito che anche oggi la risposta continuerebbe ad essere negativa”. Una decina di righe più avanti c’è un passo strepitoso: persino Secchia, che è un repubblicano nominato da Bush senior, mostra il suo imbarazzo per i severi giudizi di Intini su Togliatti.
 
E Secchia sbottò: “Intini su Togliatti esagera”
Il portavoce del Psi craxiano, a Secchia, elenca le condizioni poste ai cugini separati del Pci che si apprestano a cambiare nome: “Analizzando i passi che il Pci dovrebbe compiere per trasformarsi in un partito politicamente accettabile agli occhi del Psi, Intini ha spiegato che i comunisti dovrebbero: 1) rinunciare completamente al loro passato; 2) dimostrare una genuina apertura nei confronti del Psi; 3) cambiare indirizzo politico in termini economici e di sicurezza. Gorbaciov ha operato una rottura con il passato, ma il Pci ha rifiutato di fare la stessa cosa, ha aggiunto Intini. Egli ha sostenuto che non c’è stato uno stalinista più devoto di Togliatti, e il Pci è tuttora restio ad ammettere l’errore da egli commesso”. Ed è qui che Secchia fa una chiosa in difesa del Migliore: “Se il legame tra Togliatti e Stalin non può essere ignorato, la descrizione che Intini fa di Togliatti è esagerata. Intini ha appositamente ignorato la tempesta scatenatasi all’interno del Pci la scorsa estate, nel momento in cui si aprì il dibattito sulla figura di Togliatti e sulla sua importanza o meno nella storia del partito”.
 
Il pericolo di un partito radicale di massa
Secchia fa riferimento a un articolo di Biagio De Giovanni apparso in estate sull’Unità e che fa i conti con lo stalinismo del Pci. Gli altri “leader socialisti” interpellati dall’ambasciata americana sulla svolta occhettiana sono Fabio Fabbri, Carlo Tognoli, Margherita Boniver, Valdo Spini. Si menziona anche una “conversazione” con Giuliano Amato che viene appaiata alla previsione di Tognoli: “Nel momento in cui il Pci ha imboccato il sentiero giusto temo che esso possa diventare un partito radicale di massa”. A fronte, poi, dei compagni socialisti che fanno l’analisi del sangue al nuovo corso del Pci, c’è un futuro postcomunista che vaglia il grado di socialismo del Psi. È Massimo D’Alema: “Massimo D’Alema, direttore del quotidiano comunista l’Unità, il mese scorso ci ha riferito che il Psi non ha assunto posizioni autenticamente socialiste. Quando gli abbiamo chiesto se ritenesse socialisti gli esponenti del Psi, lui ha risposto: ‘Io non ho detto che non sono socialisti, ma che non hanno assunto posizioni socialiste’”.
 
I sondaggi migliori sono del “Corsera”
Il monitoraggio americano sulle mosse della sinistra italiana dopo la caduta del Muro è accuratissimo. Il report del 20 novembre mette a confronto finanche i sondaggi di due quotidiani sul cambiamento di nome del Pci: Corriere della Sera e Repubblica. Il titolo del cablo è eloquente: “I sondaggi rivelano la difficoltà di un cambiamento di nome per il Pci”. Per il Corsera, “il 39,2 per cento degli interpellati ritiene sia un errore cambiare nome”. Su Repubblica, invece, è alta la percentuale dei favorevoli: “Un sonoro 65,1 per cento”. Osserva Secchia: “La differenza nelle conclusioni che emergono dalle indagini corrisponde ai differenti orientamenti politici dei due giornali. La Repubblica ha dichiarato esplicitamente che i risultati della sua indagine potrebbero essere di aiuto ad Occhetto. Datamedia, la società citata da Repubblica è nuova e non si è ancora fatta una reputazione. Il Corriere della Sera ha invece fatto affidamento a uno dei due più conosciuti istituti di opinione in Italia, e ha rimarcato gli aspetti negativi dell’analisi emersa per Occhetto. L’indagine pubblicata sul Corriere della Sera è probabilmente più accurata rispetto a quella de la Repubblica.
 
Lo strappo di Ingrao e le previsioni americane
A dieci giorni dalla Bolognina, per Occhetto è ormai tempo di affrontare la conta nel comitato centrale del Pci. Il cablo americano del 22 novembre è dedicato alla strategia del segretario nel partito. Dal metodo alla sostanza ideologica. Un paragrafo esamina l’annunciato strappo di Pietro Ingrao, leader carismatico della sinistra interna. Ecco la parte finale del commento dell’ambasciatore Secchia: “L’insuccesso di Occhetto nel convincere Ingrao era prevedibile. Ingrao, la cui forza all’interno del partito è stimata intorno al 15 per cento, non di più, dato testimoniato nel corso dell’ultimo congresso, probabilmente confida nel fatto che Occhetto non riuscirà a convincere il partito, se dovesse venire convocato in tempi rapidi un congresso straordinario. La preferenza di Occhetto per una discussione che si sviluppi lungo un percorso più lungo, indica che egli vuole ridurre la possibilità che si verifichi una spaccatura nel partito. Uno dei più convinti sostenitori del nuovo Pci, Biagio De Giovanni, il mese scorso ci ha detto che ci potrebbe essere una rottura e che essa potrebbe rivelarsi ben più profonda di quanto alcuni pensino”. Di qui la previsione degli Usa: “Pur essendo alle prime battute, è probabile che Occhetto possa riuscire a portare a compimento il suo percorso con un partito dalle dimensioni ridotte. È comunque ancora presto, e rimane del tutto aperta la questione: riuscirà a trasformare il Pci in un partito più accettabile per una logica di coalizione e più attraente per quote maggiori di elettorato?”.
 
Nilde Iotti, il Migliore e il sì teorico alla svolta
Il cablo spedito a Washington, con la data del 27 novembre, riferisce sul Comitato Centrale del Pci che ha approvato la proposta di cambiamento: “Il Comitato Centrale si riunirà nuovamente a dicembre per fissare la data esatta del congresso straordinario del partito nei primi mesi dell’anno e per definire l’ordine del giorno e le regole del congresso. Il voto del Comitato Centrale, chiamato ad esprimersi sulla proposta di Occhetto di considerare un cambiamento di fondo nel Pci, ha visto 219 voti a favore, 73 contrari e 34 astenuti. Non è stata una vittoria facile né definitiva per Occhetto”. Gli americani si soffermano ed enfatizzano tutte le difficoltà del segretario della svolta (“Non si è trattato di una vittoria netta, specialmente per un partito la cui forza è sempre stata la fedeltà”). E nel commento finale ritorna la questione dell’uso strumentale della storia, come in questi giorni su Berlinguer, Ingrao e Iotti per il Sì renziano al referendum. Allora, invece, fu la stessa Iotti ad ammonire i contrari al cambiamento: “Egli è inoltre riuscito a portare dalla sua parte i leader più autorevoli. La presidente della Camera dei deputati, Nilde Iotti, nel ricordare dinanzi al Comitato Centrale che nessuno potrebbe parlare di Togliatti meglio di lei, ha detto che lo stesso Togliatti avrebbe dato il proprio assenso a un cambiamento profondo del Pci”.
 
Ecco come sarà l’alternativa di sinistra
È chiaro che gli americani si sentono minacciati dalla prospettiva inedita di un governo di sinistra in Italia. Il primo dicembre 1989 Secchia fa il resoconto di un suo colloquio informale con Giorgio La Malfa, leader del Pri, uno dei cinque partiti del pentapartito che sostiene il governo Andreotti. Nel nostro Paese è il tempo del Caf: il patto tra Craxi e i democristiani Forlani (segretario politico) e Andreotti (a Palazzo Chigi). La Malfa ha chiesto e ottenuto un appuntamento per il 29 novembre, in vista dell’incontro del 30 con Gorbaciov. Per Secchia, però, “la parte più interessante della conversazione ha riguardato i cambiamenti nella politica italiana”. Ecco l’analisi di La Malfa, che non esclude un governo Craxi con Occhetto vicepremier: “La Malfa considera inevitabile che, nonostante l’attuale rivalità, Craxi e Occhetto finiranno per unirsi. E ciò a dispetto del fatto che Craxi insista nel proporsi come leader di una sinistra unita. A giudizio di La Malfa, Occhetto potrebbe essere il numero due al governo, piuttosto che il capo di un partito comunista autonomo ma isolato in una condizione di persistente opposizione. La Malfa ha riferito che il suo stesso Partito repubblicano sta cercando di posizionarsi di modo che possa guadagnare un paio di punti percentuali (ciò significherebbe superare il cinque percento) tra i possibili voti in libera uscita, e dunque assumere un ruolo significativo all’interno di una coalizione di sinistra. La Malfa ha confessato di preferire come primo ministro Andreotti piuttosto che Craxi o Occhetto, ma evidentemente guarda agli interessi del suo partito che potrebbero derivare dalla partecipazione a un raggruppamento di alternativa di sinistra”.
 
Il patto segreto tra Andreotti e Bettino
Nel report del 4 dicembre sono invece sintetizzati tutti i capisaldi della politica americana in Italia. A partire dal rapporto con Bettino Craxi, il quale andrà negli Stati Uniti e, a differenza dello storico viaggio di Occhetto nel maggio 1989, incontrerà il presidente Bush: “Craxi ha sempre utilizzato gli incontri con i vertici americani per dimostrare di essere bene accetto negli Stati Uniti, che l’opinione pubblica italiana identifica quale garanzia di prosperità e sicurezza del suo Paese. Craxi vorrà senza dubbio contrapporre i suoi incontri con il Presidente Bush e con il Segretario di Stato Baker al lungo colloquio di un’ora e mezza tenutosi a Roma il 30 novembre tra il segretario del Pci Occhetto e Gorbaciov”. Secchia, continuando, definisce “segreto” l’accordo tra Craxi e Andreotti per il governo italiano e chiarisce che il leader socialista vuole tornare a Palazzo Chigi: “La coalizione di pentapartito continua a fondarsi su un patto segreto, che resta sconosciuto all’opinione pubblica, tra Craxi e il primo ministro Andreotti. Noi non riteniamo che la situazione possa cambiare prima della primavera, quando ci saranno le elezioni amministrative. Un problema che minaccia la stabilità della coalizione è rintracciabile nel dissenso proveniente dalla sinistra democristiana più che dal Partito socialista”. E poi: “L’obiettivo di Craxi è stato, e continua ad essere, l’incarico di Presidente del Consiglio. Egli desidera un’attenzione speciale degli Stati Uniti”. Questo in virtù di un dogma che dura ormai dal Dopoguerra: “Nonostante l’establishment italiano, di cui fa parte il PSI, sostenga l’Unione europea, sono gli Stati Uniti ad essere tradizionalmente considerati i suoi garanti nell’Europa stessa, e non sembra che l’influenza americana sia destinata a diminuire”. L’ultimo dei dieci cablo visionati dal Fatto grazie allo studioso Andrea Spiri, che li ha recuperati e tradotti, è del Consolato statunitense di Firenze. Un altro colloquio, stavolta con Mauro Zani, segretario provinciale del Pci di Bologna, la federazione più grande del mondo occidentale. Per Zani l’opposizione interna a Occhetto ha tratti di casta: “La forte opposizione di Ingrao, Natta e di molti altri esponenti del Comitato Centrale, ha spiegato Zani, è dovuta principalmente alla loro paura di perdere potere, privilegi e funzioni direttive all’interno del partito.