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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Il Diario sulla guerra riscritto da Albertazzi e Fo

Pubblichiamo il “Dialogo sulla guerra” tratto dall’“Enrico V” di Shakespeare e riscritto da Albertazzi e Fo. I personaggi: Albertazzi è Enrico V, Fo il sondato Bates, Fabrizio De Giovanni il soldato Court. Poi c’è il soldato William.
Dialogo sulla guerra dall’Enrico V di Shakespeare Messo in scena al Teatro Globe di Roma undici anni fa
PERSONAGGI:
ENRICO V: Giorgio Albertazzi
IL SOLDATO BATES: Dario Fo
IL SOLDATO COURT: Fabrizio De Giovanni
IL SOLDATO WILLIAM:
PROLOGO
Dell’Enrico V conosciamo quattro versioni, apparse dal 1600 al 1623. La prima è un abbozzo con allusioni al travestimento del re, che si presenta alla truppa nei panni di un semplice soldato. Il tutto allo scopo di provocare i suoi soldati e scoprire il loro vero pensiero. Le altre tre versioni figurano di autori anonimi. Solo sette anni dopo la morte di Shakespeare fu pubblicata una versione a suo nome. Molti studiosi insistono a definire le varie scritture dell’opera come di autore sconosciuto, perfino quella stampata dall’editore. Molti ricercatori fanno notare in particolare che l’unica edizione pubblicata presenta segni palesi di manomissione, e quindi si intuisce un’evidente riduzione dei dialoghi fra i soldati e il re a vantaggio di una serie di monologhi che riducono l’impatto e il confronto dialettico. Con questa riduzione di confronto dialogico, la scena in questione evidentemente perde di drammaticità.
Dal momento in cui Giorgio ed io abbiamo deciso di mettere in scena l’incontro fra il re truccato da soldato di truppa e uno dei combattenti, che gode di un certo rispetto, abbiamo capito che bisognava intervenire per ripristinare il contrasto censurato.
Fabrizio De Giovanni: Che cos’è quella luce cosi’ intensa che taglia l’orizzonte? È forse l’alba?
Dario Fo: Già… L’alba di una giornata di sangue…
Fabrizio De Giovanni: Spero davvero non sia quello schizzato dalle nostre vene a colorare di vermiglio il cielo.
Dario Fo: (puntando l’arma) Chi è là?
Giorgio Albertazzi: Un amico.
WILLIAM: Chi è il vostro comandante?
Giorgio Albertazzi: Sir Thomas Erpingham.
WILLIAM: Un buon generale, un uomo squisito. Che cosa ne pensa, lui, il comandante, della nostra situazione?
Giorgio Albertazzi: Che siamo come dei naufraghi su un banco di sabbia che si aspettano di essere risucchiati dalla prossima marea.
Dario Fo: Bella previsione per il nostro destino di truppa! Prospettare fin d’ora che andremo a picco, galleggiando poi gonfi d’acqua!
Fabrizio De Giovanni: Ma il generale, questi suoi pensieri, non li ha confidati al re?
Giorgio Albertazzi: No, né sarebbe opportuno che lo facesse.
Dario Fo: E per che motivo non sarebbbe opportuno? E che è, gli vuol fare una sorpresa per poi sbottare in uno sghignazzo?
Fabrizio De Giovanni: Non sfottere! Piuttosto, continua… Perché non dovrebbe dirlo al re?
Giorgio Albertazzi: Perché, sia detto fra noi, credo che il re non sia altro che un uomo come me: il profumo di una violetta lo sente come lo sento io; il firmamento gli appare come appare a me; tutti i suoi sensi non sono che facoltà umane. Messe da parte le pompe regali, la sua nudità non rivela che un uomo e anche se le sue passioni si libran più in alto delle nostre, pure, quando si abbassano a terra, lo fanno con le stesse ali.
Dario Fo: Non certo atterrano come le mie quando mi capita di scendere dai miei sogni… L’impatto con il terreno del reale è sempre un disastro: mi schianto come un carretto buttato da una rupe.
Fabrizio De Giovanni: Sentilo! Il rospo pretenderebbe di volteggiare come una farfalla! Vai avanti tu… Che stavi dicendo del re?
Giorgio Albertazzi: Dicevo che a lui, al nostro Enrico, quando gli prende con ragione sgomento, quella strizza gli causa pallore e fors’anche tremiti, come succede a noi. Quindi, a meno di volerlo tormentare, nessuno dovrebbe mai andare a provocargli la minima traccia di spavento, per evitare che egli, facendolo trasparire, lo vada comunicando ai suoi combattenti, gettandoci tutti in uno sgomento da sbandati in rotta.
Dario Fo: Ah, bella logica! Teniamo il re in una scatola d’ovatta, tappiamogli le orecchie e gli occhi così da poterlo mostrare alle truppe sempre sorridente e sereno!
Giorgio Albertazzi: Non volevo intendere questo, tu mi vuoi ad ogni costo ribaltare ogni idea che provo ad esprimere.
Fabrizio De Giovanni: Io ti sto seguendo. Prosegui, sono d’accordo.
Dario Fo: Senti: la puoi condire come ti pare e il re potrà mostrare da disinformato tutto il coraggio che vuole, ma credo che anche in una notte fredda come questa, preferirebbe starsene a bagno diaccio nel Tamigi con l’acqua alla gola.
Giorgio Albertazzi: Magari si potesse combinare ’sto scambio, pur di cavarsi da qui! Come dice il proverbio: meglio arrancare galleggiando nell’acqua del tuo fiume che ritrovarti a mollo in uno stagno fetido in compagnia di rane spaventate come te.
WILLIAM: Ma che strampalata di discorsi andate facendo? Di sicuro è lo spavento che vi fa straparlare a ’sto modo!
Giorgio Albertazzi: Sentite: se vi interessa vi dirò con tutta la sincerità cosa penso del re. Sono convinto che non vorrebbe per nessuna ragione trovarsi in un luogo diverso da quello in cui sta.
Dario Fo: Allora, sincerità per sincerità, io vorrei che il nostro Enrico si trovasse qui da solo senza truppe, così che catturato potrebbe venir riscattato per una cifra ragionevole e oltretutto un sacco di poveri diavoli come noi avrebbero salva la vita.
Giorgio Albertazzi: Mi fa piacere scoprire che non gli volete abbastanza male da lasciarlo qui solo come un pellegrino…
WILLIAM: Io invece, in mezzo a tutte ’ste ciance, vorrei capire se davvero la causa del re sia giusta e la sua guerra onorevole.
Dario Fo: Ma che t’importa? Se finisci accoppato, mentre due becchini ti dondolano, afferrato per le braccia e i piedi per sbatterti dentro una fossa, che conforto ti dà sapere se il vento che fa sbattere la bandiera del re è un’aria infame o santa, soffiata da Dio in persona?
WILLIAM: Una cosa da poco… Sapere se finirò nel fuoco eterno o in un posto un po’ piu’ fresco e ospitale dell’inferno!
Giorgio Albertazzi: Quanto a me, credo che non potrei morire contento da nessun’altra parte se non in compagnia del re, dal momento che la sua causa è sacrosanta e la sua guerra giusta e onesta.
Dario Fo: Eccolo qua il solito fanatico mistico: o col re o con nessuno! Ora tira fuori anche ’sta bella sentenza… Ma quando mai una guerra si è dimostrata onesta e giusta? Chiedilo un po’ agli scannati, a quelli andati a fuoco con il loro fienile, fatti a pezzi senza ragione!
Fabrizio De Giovanni: A noi basta che siamo sudditi del re. Altro non ci occorre sapere.
Dario Fo: Ma certo! Noi non dobbiamo avere idee nostre. Le idee portano al dubbio e il dubbio all’angoscia… l’angoscia alla paura… Via le idee e saremo soldati senza paura.
Fabrizio De Giovanni: Ah! Rieccolo il falso saggio, con i giochetti di parola agili come quelli di una buffone che fa rotear palline di pezza!
Dario Fo: No, non è giocoleria ma dialettica la mia. Una cosa che non esiste nel tuo cranio. Io mi domendo sempre dove si infila il tuo elmo, giacché sul collo hai solo una palla di nebbia.
Fabrizio De Giovanni: No, non mi convinci con questa tua “dea lettica”… Io so soltanto che, ammesso che la causa del re sia ingiusta, l’obbedienza al re ci assolve di ogni colpa.
Dario Fo: Sì. Ma attento, che se la causa del re si scopre essere ingiusta, il re stesso avrà un tragico conto da pagare, quando tutte quelle gambe e braccia e teste mozzate in battaglia si ritroveranno insieme nel giorno della resurrezione dei morti e ogni organo o frammento andrà saltellando intorno alla ricerca del proprio tronco a cui rincollarsi. Ti riesce di udirne le grida disperate e le bestemmie come nel Giudizio Universale dipinto a Saint Paul?
Giorgio Albertazzi: Ma come puoi imporre al re la colpa del massacro? Egli non decide da solo, giacché la sua corona gli è posta in capo per volere del creatore.
Dario Fo: Certo. E anche l’altro re, quello che ci sta contro, e tutti i regnanti che ci attaccano per distruggerci, sono stati ispirati da Dio. Te lo vedi, tu, Dio che si getta da un trono all’altro brandendo la croce e gridando: “Vai! Battiti nel mio nome contro l’esercito del male!”. Ma qual è l’orrendo esercito di Satana? Cambia per ognuno: oggi sono questi, domani sono questi altri… Tutto dipende se il pontefice cattolico è con noi o dall’altra parte.
Giorgio Albertazzi: Come dire che Dio non c’entra niente? Che non ha nessuna responsabilità nei massacri condotti dagli uomini?
Fabrizio De Giovanni: Ha ragione l’amico. Se un servo va per strada a servizio del suo padrone, caricato di merce preziosa, e viene aggredito da briganti e muore accoppato, è colpa del padrone se l’anima sua finisce all’inferno?
Giorgio Albertazzi: Bravo! Questo è il giusto quesito. È impossibile che un re si trovi con un esercito composto da uomini intonsi, tutti privi d’ogni macchia. Può darsi che alcuni di loro si siano resi colpevoli di assassinio voluto o premeditato; altri di aver sedotto e magari stuprato delle vergini; altri ancora, fattisi scudo della guerra, hanno strappato le candide vesti della pace e esposto al ludibrio il suo dolce seno.
Dario Fo: Eh no! Non ci sto, fratello mio! Tu sposti furbescamente il centro del discorso a tuo vantaggio. Le tue parole sembrano all’istante quelle che normalmente impiega il re per blandire i suoi sudditi. Qui non si tratta di giudicare i caduti e scannati per come han condotto la loro vita prima della battaglia. Il giudizio sull’anima loro, sull’inferno e il paradiso, è compito di Dio e figuriamoci se io mi permetto di metterci naso. Noi qui stiamo trattando non dell’anima ma del corpo, non della vita eterna ma di questa vita breve che ci hanno donato. Quindi è la morte fisica il centro del discorso. E di chi ce la procura.
Giorgio Albertazzi: Vuoi dire che è il re il responsabile di una nostra probabile morte giacché è lui che ha dichiarato guerra?
Dario Fo: Sì, questo dico!
Giorgio Albertazzi: Eh no! La guerra, è detto anche nelle Scritture, è uno strumento di giustizia divina e di retribuzione divina. Chi decide se tu o tu dobbiate finire ammazzati o scampare la vita? Se siete valenti nell’armi e nell’ardire godete di maggiori probabilità. Ma se, pur valeenti e decisi, la fortuna non v’assiste, potete morire come l’ultimo degli inetti. Ha forse Dio colpa della vostra fine?
Fabrizio De Giovanni: No. Il libero arbitrio vale anche in battaglia.
Giorgio Albertazzi: Certo! Quindi se Dio è assolvibile, perché non lo deve essere anche il re che agisce in suo nome? Ancora vi dirò che se un uomo anche indegno se la scampa, puoi giurarci che Iddio l’ha salvato per far di lui un testimone della sua grandezza.
Dario Fo: Devo ammettterlo: mi hai quasi convinto. Che splendido panegirico sulla impondendabilità…Un capriolo non saprebbe caracollare fra le parole a grande effetto quanto è facile a te!
Giorgio Albertazzi: Ma che pretendi? Di addossare tutto il peso del mondo sulla schiena di questo re? Tutto in conto al nostro sire. Le nostre vite, le nostre anime, i debiti, le nostre mogli ridotte a vedove disperate, i figli orfani, i nostri peccati… tutti in conto al re! O dura condizione, gemella della grandezza, ma soggetta al mugugno di ogni imbecille…
Dario Fo: Ah, siamo alle offese pesanti! Mo’ sono anche imbecille…
Giorgio Albertazzi: Sì. Di ogni imbecille, incapace di sentir altro che il mal di pancia, normale preludio alle sue scoregge…
WILLIAM: Sbaglio o sei tutto dalla parte del re?
Giorgio Albertazzi: No, non tutto. Non posso concedere tutta la mia fiducia a questo pomposo incosciente che s’è messo in campo ben sapendo che ci potrà rimettere la pelle come un qualsiasi lanciotto della sua schiera. Sapendo che nella carica e nello spadacciare nulla lo potrà salvare dal restare infilzato come l’ultimo dei suoi palafrenieri. E finir sconciato nel viso e nel corpo nel mucchio dei massacrati da non essere più riconosciuto e finire, questo nostro re, seppellito insieme ad altri anonimi cadaveri… E tu parli di privilegi?
Dario Fo: Quando mai ho accennato a privilegi del re?
Giorgio Albertazzi: Poc’anzi, a proposito della possibilità che ha il nostro Enrico, se fatto prigione, di pagarsi il riscatto che lo rende libero. Sappi che ha giurato che non ricorrerà mai al pagamento di un riscatto.
Dario Fo: Questo è ciò che ha promesso… Ma è ben risaputo che spesso i re non tengono fede alla parola data. È un altro loro privilegio, un loro stile…
Giorgio Albertazzi: Sei fortunato! Se io fossi il re torrei la mia spada e ti farei ben pagare questa offesa.
Dario Fo: Anch’io, se tu fossi il re, vorrei darti ’sta lezione. Ci possiamo sempre incontrare appena terminata la battaglia.
Giorgio Albertazzi: Già, sempre che l’uno riesca a trovare l’altro ancora vivo.
Dario Fo: Davvero il nostro re proverebbe grande soddisfazione scorgendo un si’ apppassionato difensore pronto a menar di spada pur di difendere il suo onore!
Giorgio Albertazzi: Io credo che il re sarebbe più lusingato dalle tue offese, giacché difficilmente qualcuno della sua corte tiene l’ardire di sbatttergli in faccia quello che ha nel cuore. Ognuno che gli sta attorno lo copre di complimenti, inni di gloria e soggezione. Dio in persona ne sarebbe schifato, al suo posto.
Dario Fo: Già… Ma in fondo gli piace starsene in quella broda di leccate, condite di osanna d’ammirazione…
Giorgio Albertazzi: Sei un infame e meriteresti davvero una lezione!
Dario Fo: Non lusingarmi. Io sono ben disposto a darti ’sta soddisfazione.
WILLIAM: Piantatela voi due, stupidi inglesi che altro non vi dimostrate! I Franchi stanno per venirci addosso e voi questionate come foste ubriachi in una bettola!
Giorgio Albertazzi: Va bene, tronchiamo. Ma spero che ti riesca di campare fino a domani e io ti toverò.
Dario Fo: Lo stesso augurio mi faccio io. Dammi il tuo guanto: me lo vedrai sventolare inchiodato sul mio elmo. Cercami. E ti darò soddisfazione.
Anche il finale dell’ultima versione è sintomatico di un aggiustamento evidente: finita la battaglia guadagnata dal re e dal suo esercito, Enrico rintraccia il soldato che gli ha tenuto testa nello scontro verbale nella notte precedente e lo fa impiccare. Guai a chi contesta il pensiero del re!