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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Gli orari delle telecamere erano tarati male, le prove contro Bossetti non reggono. L’arringa della difesa

Si rivolge alla giuria, con una frase che sembra uscita fuori da un colpo di teatro di Perry Mason: «Signori della Corte, io studio le fisionomie. Vi ho guardato. Potrei chiudere in una busta un foglio in cui c’è scritto come la pensate fino a oggi su questo processo. Poi, se dopo la sentenza la aprissimo, scopriremo che ho indovinato». Inizia e conquista l’attenzione, Paolo Camporini. Venerdì, a fine giornata, illustra il colpo di scena della difesa. Prodotto di un lavoro collettivo del pool di Bossetti, un’altra intuizione investigativa dell’ineffabile investigatore Ezio Denti. È uno studio ingegnoso e maniacale effettuato sulle immagini delle telecamere di sorveglianza che punta a demolire le teorie dell’accusa sui tempi e le modalità della scomparsa di Yara.
Questa la frase chiave: «Cari giurati, vi abbiamo dimostrato il come e il perché secondo noi quello ripreso dalla telecamera Polynt 1 non è il furgone di Massimo Bossetti. Per noi quella prova non vale nulla». Però... «Peró, visto che tutto il teorema accusatorio si poggia sull’idea che quello sia effettivamente il furgone di Bossetti, e che la sua presenza davanti a quella telecamera sia la prova che Bossetti poteva rapire Yara, vi dimostreremo perché quel teorema si può demolire. Se sposti di dieci minuti la datazione di quel fotogramma – dice Camporini nell’aula del Tribunale di Bergamo – il processo contro Bossetti non esiste più».
È come un guanto di sfida. La difesa di Bossetti pensa di aver dimostrato già che i due furgoni inquadrati dalla telecamera della ditta e da quella del distributore di benzina Shell non siano quello del suo assistito. Ma il nuovo colpo di scena dell’arringa è questo: «Noi oggi siamo in grado dimostrare che, anche se quello fosse il furgone di Bossetti, i tempi indicati dall’accusa sono sballati».
Premessa. Secondo la pm, le riprese delle telecamere di servizio provano che il muratore di Mapello era vicino alla palestra dieci minuti prima che Yara uscisse. Quindi Bossetti «era nella possibilità» di rapire la ragazza. Per sostenere questa tesi la Ruggeri ha già dovuto faticare: in primo luogo facendo le pulci al signor Franese, padre di una compagna di palestra di Yara, che sosteneva di aver visto la ragazza mentre usciva (ma ancora dentro) «non prima delle 18.42-18.46». Questo restringeva i tempi dell’accusa. C’era poi il signor Fenili, che sosteneva di aver incontrato un furgone simile a quello di Bosetti mentre svoltava fra via Locatelli e via Morlotti. Secondo i carabinieri questo incrocio visivo sarebbe avvenuto alle 18.42. Sempre secondo la procura, dalle immagini della Shell, il furgone di Bossetti passerebbe davanti al distributore alle 18.34. E poi di nuovo alle 18.36. E poi di nuovo alle 18.39. Quindi, sia pure in soli dieci minuti, il muratore avrebbe fatto in tempo a rapire Yara. Ma come faceva l’accusa a calcolare questa tempistica, se gli orari delle telecamere per loro stessa ammissione erano sballati di circa un’ora? Sulla telecamera della Shell l’accusa dice: visto che su quel filmato c’è l’ora legale, è semplice, basta retrodatarla di un’ora. Sulla seconda e terza telecamera le cose si complicano di più. Il tecnico della Polynt sostiene: «C’è un margine di errore di dieci minuti. Ma non so se in avanti o indietro». I carabinieri allora hanno detto: dobbiamo trovare un elemento di certezza nel video che ci faccia fissare l’ora legale per riallineare il tempo e le registrazioni. Vedono una macchina nera Mercedes che entra in via Sala, nel retro della palestra. La macchina sparisce e poi ricompare. I carabinieri raccontano: identifichiamo uno svizzero che si chiama Liebscher Marino. Ha una casa in zona. Lui conferma di essere stato lì quella sera: «Ricordo che mi scappava la pipì. Mi sono fermata a farla. E poi sono ripartito». I carabinieri allora settano le telecamere della Polynt partendo da quella telefonata di 1076 secondi. L’orologio dei tabulati dice che avviene alle 18.39. Quindi, secondo i carabinieri questa è l’ora di settaggio. Poi cercano tre mezzi che passano sotto la telecamera Polynt e poi davanti alla Shell (un motorino, una macchina un carro) e sincronizzano anche la telecamera del distributore. Conseguenza: secondo questo orario Bossetti passa 64 minuti dopo l’orario indicato dalla telecamera. Ecco come invece ha ragionato la difesa. Perché ci danno solo l’orario della telefonata dello svizzero, e non il tabulato? Il perito che si occupa delle celle, Luigi Nicotera, scopre che la telefonata non dura quanto hanno indicato i carabinieri, ma quattro minuti in più. Non solo. Lo svizzero ha poi fatto un’altra chiamata di 36 secondi e altri cinque tentativi di chiamata. Si chiedono: ma se si è fermato per fare la pipì, quanto ci ha messo? Altri due minuti. Ma allora il tempo si allunga di quattro minuti, più due, più almeno un altro minuto. Questo calcolo li convince che la Mercedes nera non va bene per la sincronizzazione.
Così Camporini spiega. Scoprono la cella che ha agganciato la telefonata. Che è la 319. Che tutte le telefonate sono fatte su quella cella. Quindi Marino era ancora lì. Usano un programma di ponderazione delle immagini, rifanno i calcoli e scoprono che andando avanti si vede il cancello della Polynt che si apre. Vedono uscire gli operai. Allora vanno alla Polynt e scoprono che gli operai escono alle 18. Chiedono al responsabile delle risorse umane che conferma l’orario di uscita anche il 26 novembre 2010. Poi provano a controllare le tre macchine indicate dalla procura per capire se il calcolo fatto è giusto. C’è uno stop. Come valutare il tempo dello stop? Prendono tutte le macchine che vanno da Brembate verso Ponte San Pietro, verso della Polynt. Ne controllano e ne identificano 50. Il tempo di percorrenza fra le due telecamere è di 30 secondi. Vi siete persi? A questo punto, basandosi sull’orario di uscita e sul tempo di percorrenza, fissano il nuovo orario del passaggio di Bossetti alla Shell. Per i carabinieri alla Shell sono le 18.34, per la difesa sono 18.32. Gli avvocati della difesa, partendo da questo orario, ritrovano nel flusso le macchine dei due testimoni dell’accusa. Fenili (una Scenic) e Francese (una 600). Quindi la datazione è confermata. Ma il colpo di scena è questo: Francese, il papà, arriva alle 18.48. Può essere arrivato in palestra non prima delle 18.50. Alle 18.49 Yara riceve l’ultimo messaggio, alla cella di Mapello. La difesa scopre che questa cella prende solo all’uscita della palestra.
Conclusione: Yara esce alle 18.50, e non alle 18.42 come dice l’accusa, e quindi non potrebbe essere alle 18.49 in via Morlotti dove sarebbe stata rapita da Bossetti. Ma, secondo il calcolo dell’accusa, Bossetti sarebbe passato alle 18.43. Mentre Yara è ancora in palestra. Quindi tutto il calcolo crollerebbe:Bossetti non potrebbe essere stato fermo dieci minuti senza essere ripreso dalle telecamere di via Rampinelli o notato dai tanti testimoni.
Adesso io mi fermo e vi dico. Forse la teoria della difesa è fantasiosa. Ma se non sta in piedi, sicuramente è più solida e documentata di quella dell’accusa. A me viene da chiedere: secondo voi su questi calcoli si può condannare un uomo?