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 2016  maggio 29 Domenica calendario

I succhi infami di Shakespeare. Ecco gli studi su pozioni e veleni usati dall’autore per uccidere, addormentare o fare innamorare i suoi personaggi

Quattrocento anni fa moriva Shakespeare a Stratford upon Avon. Dove era nato. E quattrocento anni dopo gli inglesi hanno deciso di ripubblicare e far conoscere ogni tipo di studi per celebrare l’autore. Non solo le sue opere. Anche alcune ricerche scientifiche. Quelle che hanno indagato, con il rigore contemporaneo, su tutto ciò che, nei drammi, è magia e alchimia. Dalle pozioni ai veleni ai filtri d’amore. Perché le coppe, le fiale e gli estratti di fiori sono protagonisti, complici e strumenti che cambiano il corso della storia. Uccidendo, addormentando e facendo innamorare. Dalla collezione degli studi ripresentata oggi (www.shakespeare.org) capiamo che il drammaturgo ha rubato segreti dalla realtà del suo tempo, da alchimisti e guaritori. Ma si è anche aiutato con la fantasia. Solo un po’, precisano i ricercatori. Che hanno ricostruito, basandosi sulle indicazioni dello stesso Shakespeare, la pozione d’amore di Sogno di una notte di mezza estate o la miscela nell’orecchio che ha avvelenato il padre di Amleto.
LA MISTURA
«Dormivo nel giardino/come m’era consueto al pomeriggio;/e in quel sonno pacifico e sicuro /mi sorprende tuo zio, con una fiala/ piena d’infame succo di giusquiamo,/e dentro il padiglione dell’orecchio/ mi versa quella lebbra distillata/d’effetto sì nemico al sangue umano /da serpeggiare come argento vivo/per tutti i suoi canali, arterie e vene...» racconta lo Spettro ad Amleto. Una mistura che fa accartocciare il corpo «come Lazzaro». Più di uno studio, dal 1950 ad oggi, si è concentrato sul contenuto di questo infame succo. Una sostanza o una miscela resa oleosa per scendere facilmente nell’orecchio. Il giusquiamo, della stessa famiglia delle patate veniva usata, un tempo, come potente veleno ma anche come rimedio per disturbi gastrici e mal di denti.
Nella foresta di Sogno di una notte di mezza estate Oberon il re delle fate litiga con Titania, regina delle amazzoni per via di un orfanello. Lui lo vorrebbe come suo paggio mentre lei vorrebbe prendersene cura. Pur di ottenere il suo paggio Oberon ordina a Puck, un folletto mitologico di farsi dare un fiore da cupido da spremere sugli occhi di Titania. Attraverso questo stratagemma lei si innamorerà, al risveglio, della prima cosa che vedrà: un contadino con testa di asino. Lo stesso succo, per sbaglio, verrà versato sugli occhi di Lisandro che si invaghisce della donna sbagliata.
I CUORI INFRANTI
Gli studi compiuti basandosi sulle conoscenze di erboristeria all’epoca elisabettiana rimandano alla viola del pensiero, la viola tricolor. Contiene flavonoidi, saponine e mucillagini. L’infusione della pianta veniva utilizzata per riparare cuori infranti portando pace e relax.
La morte apparente di Giulietta sarebbe attribuita all’Atropa Belladonna anche se l’ingestione di questa pianta causa morte. «Le bacche – ha scritto Michael Heinrich Other ex docente di Farmacognosia in Gran Bretagna – uccide un bimbo. Ma dipende dalle dosi il suo livello di tossicità». Nel caso di Giulietta la scienza si è arresa.
In Macbeth le streghe preparano una pozione nel loro calderone e a loro chiede di rispondere alle sue domande. Le streghe accettano, e chiedono al re di bere una pozione, che gli procurerà delle visioni. Allucinazioni.
Nel calderone, è stato ricostruito, oltre ad organi animali e umani, ci dovevano essere anche radici di conium maculatum, cicuta maggiore. Una pianta velenosa che contiene almeno cinque diversi alcaloidi. Simile a quella dell’oppio. Shakespeare, scrivono i ricercatori, doveva conoscere bene gli effetti della pianta. Capace di uccidere e dare allucinazioni. «È significativo – aggiungo gli esperti – che l’autore abbia fatto bollire il contenuto della sostanza. Era a conoscenza che l’alta temperatura poteva far variare la potenza di una pozione».