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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Elogio di Cristiano Ronaldo

Due massaggiatori, un uomo delle borracce, un compagno alle spalle che sorveglia l’area e Zidane che controlla all’orizzonte: prima dei rigori Cristiano Ronaldo sembra una Formula Uno ai box, un bolide che vale milionate e che deve fare la differenza nel poco tempo rimasto per correggere la storia.
Non credeva di fare tanta fatica a mettere le mani su questa terza Champions League, non dopo il gol di Ramos che sembrava così perfetto per replicare il risultato del 2014 e anche sottolineare la morale della favola: il Real sa fare la differenza quando conta, sa sfruttare il momento perché è abituato. Perché è un vincitore seriale. «Tradizione, campanilismo», sono i due pilastri della filosofia blanca, li ripetono dirigenti e allenatori e Ronaldo ne condivide il credo perché è sempre vissuto in club così. il Manchester United, il Real Madrid, mondi che possono pure avere stagioni nere però hanno bacheche scintillanti.
Il Pallone d’Oro 
Se ne stava bello tranquillo dentro una finale disegnata per lui e la strada per il trionfo si è trasformata in incubo. Mentre il fisioterapista gli accarezza i muscoli lui mette su una sorta di broncio, un fastidio evidente. Non è stanchezza, è stizza. Doveva essere la partita della consacrazione, poteva pure sopportare di non segnare, ma non può concepire di perdere. Non nella stagione in cui Messi non è stato poi lunare, non con un altro Pallone d’oro a portata. Cristiano Ronaldo non perde le finali e infatti si è preso pure questa.
Segnare, gesto naturale
È entrato a San Siro cantando, il suo modo di scacciare la tensione, ma quella gli è rimasta addosso. Lo ha paralizzato fino a che si è messo a gambe larghe davanti al dischetto del rigore. Undici metri e nessun pensiero e CR7 è l’uomo ideale per gestire certi confronti. Lui solo con il gesto che gli riesce meglio, segnare. E pazienza se questo gol non vale per la statistica se le reti stagionali in Champions restano 16, quelle totali 93, lui non conta, lui ripete quei movimenti così spontanei.
Il culto della personalità
L’ultimo a tirare, quello che non deve fallire e anche il giocatore che può sbagliare partita, proprio come è successo nella sfida contro l’Atletico, ma non può sbagliare un gol davanti alla porta perché quello è il richiamo della foresta, l’urlo di Tarzan. L’esito più logico e classico è il gol e dopo ci sono solo muscoli tirati sulla pelle ultravioletta coccolata a pesi, lampade. Il culto del corpo, della personalità, sì: tutto vero. Ronaldo è un vanesio, innamorato di sé però è anche un calciatore dotato di straordinario talento e di una confidenza con la palla che è di pochi.
Sfreccia davanti a Torres che piange e non lo vede, non si guarda in giro. Cristiano assorbe l’urlo della sua gente e si gode l’attimo che inseguiva. Sgomma per il campo di San Siro dove non era mai riuscito a mettere un pallone in porta in tutta la sua carriera. Ci riesce nella notte in cui vince la terza finale e il gol decisivo è il suo, pazienza se non conta per le sacre scritture, vale per il suo futuro, per i trofei che ha messo in fila e il posto che si è preso nel club che non lo amava mai abbastanza. Prima del rombo dell’ultimo rigore. Un tiro che scaccia gli incubi e ricostruisce la logica. Un gol naturale. Forse non era giusto ma ha vinto il Real. Forse Ronaldo non era proprio in serata, ma ha segnato. È progettato per farlo.