la Repubblica, 29 maggio 2016
Davanti uomini bianchi a cavallo e dietro uomini neri che spalano la merda. È successo a Bitonto
Nemmeno il più geniale sceneggiatore (forse solo uno Zavattini resuscitato) poteva inventarsi una storia come quella di Bitonto. Durissima eppure veridica rappresentazione di come va il mondo. C’è un corteo storico in costume; passano i cavalli che come tutti gli erbivori fanno molta cacca; nessun bitontino è disposto a raccoglierla; gli organizzatori si rivolgono a un’associazione che si occupa (pare bene) dei profughi africani. Il risultato è uomini bianchi a cavallo, e alle loro spalle uomini neri che spalano la merda in cambio di pochi euro. Detto dell’impressione, molto forte e non gradevole, prodotta da quelle immagini, è però importante aggiungere che la divisione dei ruoli, tra “noi” e “loro”, è qui indicata con fantastica precisione. Noi non ne vogliamo più sapere, di spalare la merda. O perché non ne siamo più capaci o perché lo riteniamo indegno del nostro status sociale. In nostra vece provvedono, spesso con una generosità e una dignità che noi abbiamo smarrito da generazioni, gli immigrati. Che lavano i nostri vecchi, asfaltano le nostre strade, mungono le nostre vacche, puliscono i nostri cessi. Senza di loro saremmo nella merda: e non è una metafora. Dubbio finale: quando saranno i neri ad andare a cavallo, che se ne faranno di noi altri, se non siamo neanche capaci di spalare la merda? Meglio allenarsi con scopa e paletta: è un master anche quello.