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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Uccidere a sedici anni per gelosia. È successo a Napoli

Innamorato tanto da pensare sempre a lei. Possessivo al punto da uccidere. «Perché altrimenti io lo schiattavo la testa. Perché io sono geloso», diceva il ragazzo al telefono. Ha 16 anni, Davide, adesso è in carcere per omicidio. Se la ricostruzione dell’accusa sarà confermata, le indagini sull’omicidio di Pasquale Zito, ventiduenne ucciso a Napoli il 4 febbraio, sembrano dunque destinate a scrivere un’altra pagina nera del racconto di un’intera generazione di giovanissimi che sembra perdersi nella spirale di Gomorra. Secondo la Procura per i minorenni, che ha coordinato il lavoro della squadra mobile diretta da Fausto Lamparelli, sarebbe stato Davide (il nome è di fantasia) ad uccidere Zito sparandogli a bruciapelo prima di fuggire con lo scooter guidato da un complice.
Un delitto di camorra, a guardare la dinamica. Ma con un movente passionale: Davide avrebbe ucciso per punire la “simpatia” manifestata dalla vittima per la sua fidanzatina. Contro l’indagato c’è l’esame dello “stube”, da cui risulta che il ragazzo aveva sparato, e l’analisi dei tabulati, dai quali si desume che quella sera si trovava nei pressi del luogo del delitto. E poi ci sono le intercettazioni, dove Davide alterna comportamenti tipici degli adolescenti con condotte che appartengono invece al mondo della criminalità. Dopo il delitto, il sedicenne si allontana prudentemente da Napoli. Poi però si lamenta, perché con il cellulare che gli ha dato la madre non può usare Facebook. E sta male, perché non può festeggiare il San Valentino con la ragazza. «Pensa sempre a lei», allarga le braccia la madre.
Quando la polizia convoca i testimoni, Davide li “istruisce” suggerendo di minimizzare la sua gelosia. «Devi dire così: non posso mai pensare che il mio innamorato abbia fatto una cosa come questa», spiega alla fidanzata. In un’altra conversazione, sostiene di aver minacciato un uomo durante una lite puntandogli contro una pistola, che chiama “Caterina”. «Tengo ‘o big bang in capa», si sfoga nel colloquio. Tutto questo in un contesto molto difficile, con la madre imparentata a un boss della zona, un padre naturale che ha avuto i suoi guai non la giustizia e non vive assieme a lui, salvo preoccuparsi dopo l’omicidio di una possibile vendetta, visto che anche Zito aveva legami familiari con un malavitoso della zona. «L’ambiente purtroppo è risultato profondamente inquinato – dice a Repubblica il procuratore per i minorenni di Napoli Maria de Luzemberger – ma per mia natura resto ottimista. Spero sempre che si riesca a salvare questi ragazzi. Per fortuna in campo minorile gli strumenti ci sono, intervenire prima che diventino maggiorenni è sempre una fortuna».
Anche Davide, ricorda il magistrato, «è molto giovane. Vediamo quale sarà la sua condotta processuale». Più in generale, il nodo resta quello dei modelli ai quali questa generazione si ispira. «A Carnevale – ha ricordato il pm Henry John Woodcock intervendo a un convegno all’Università – i ragazzini in alcune zone indossavano gli abiti e la maschera, che qualcuno aveva realizzato, di Emanuele Sibillo (ucciso in un agguato a Forcella n.d.r.) e il modello sembra più quello dei moderni terroristi che dei vecchi camorristi».
Ma c’è anche una città vuole che vuole reagire. A lei si rivolge il cardinale Crescenzio Sepe. Martedì, il presule sarà alla testa di una marcia per «esprimere la voglia di riscatto e di speranza, elevare il nostro grido di dolore per le numerose vittime, in alcuni casi innocenti, della violenza omicida, chiedere a coloro che vivono di criminalità e camorra di pentirsi».