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 2016  maggio 28 Sabato calendario

Quanto guadagnano i dirigenti Inps (troppo, secondo Libero)

Mentre la barca già stava affondando, nei mesi scorsi i vertici dell’Inps si sono preoccupati di salvare i loro stipendi dalla scure del governo, distribuendo a se stessi ricchi premi e benefit del valore di centinaia di migliaia di euro.
La legge 183 del 2011 ha stabilito che la retribuzione annua dei dirigenti pubblici non possa superare il trattamento economico del Primo presidente della corte di Cassazione, fissando il limite retributivo annuo in 293 mila euro e rotti. Nel 2014 quel tetto è stato abbassato dal governo Renzi a 240 mila euro lordi annui, pari all’appannaggio riconosciuto al Capo dello Stato. Però al momento dell’entrata in vigore della nuova norma erano ben sei i dirigenti dell’Inps i cui emolumenti sforavano la soglia dei 293 mila euro.
Per tale motivo, l’allora direttore generale Mauro Nori aveva sospeso, nel settembre del 2012, l’erogazione della cosiddetta retribuzione di risultato (i premi) a favore dei dirigenti generali dell’ente. Nell’elenco dei sei paperoni vi erano lo stesso Nori (358 mila euro in totale), l’allora direttore dell’Organizzazione Sergio Saltalamacchia, che avrebbe dovuto percepire 15 mila euro e arrivare a 304.000 euro, l’odierno capo della Vigilanza Fabio Vitale (294 mila), i direttori di Emilia-Romagna e Calabria Giuliano Quattrone e Giuseppe Greco (336 e 313 mila) e l’ex capo dei personale Ciro Toma (309 mila). Sotto lo specchietto con le loro retribuzioni oversize, Nori annotò questo appunto: «Sospendere per tutti».
Però a fine 2012 proprio Saltalamacchia assunse l’incarico di capo del personale. E quale fu uno dei primi provvedimenti che firmò? Autorizzò il pagamento a se stesso e agli altri colleghi dell’importo che non avevano potuto percepire a settembre. Nello stesso periodo il Collegio dei sindaci chiese conto al direttore generale dei motivi per cui l’ente di previdenza non avesse sospeso l’erogazione a favore dei propri dirigenti di un altro benefit denominato «indennità di prima sistemazione», che consentiva ai dirigenti trasferiti ad altra sede di percepire fino a 30 mila euro lordi l’anno, nonostante la solita legge 183 del 2011 avesse abolito tale indennità per tutte le amministrazioni pubbliche. A quei soldi andavano aggiunti i rimborsi per l’affitto, circa 2.500 euro al mese per due anni. All’epoca ne usufruivano una trentina di dirigenti generali e quelle somme entravano nel computo della retribuzione a fini pensionistici. Anche in questo caso la questione investì proprio la direzione del personale diretta da Saltalamacchia che di quel benefit usufruiva per essersi trasferito a Roma dalla Lombardia.
Dopo un anno di discussioni, siamo a inizio 2014, l’Inps decise di recuperare tutti gli importi erogati indebitamente per quel tipo di indennità. Ma senza lieto fine. Infatti la direzione del personale con la mano destra provvide a farsi riconsegnare i soldi della «prima sistemazione» e con la sinistra a “restituire” un pari importo per non ben definiti «arretrati di retribuzione di risultato», il tutto nella stessa busta paga del maggio 2014. Il costo complessivo di questa operazione fu superiore al milione e mezzo di euro.
Mangiata la foglia, il collegio dei sindaci ha preteso di vederci chiaro e ha invitato ripetutamente il direttore generale e il capo del personale «a trasmettere con la massima urgenza tutti gli atti che hanno portato alla erogazione della retribuzione di risultato al personale dirigente che ha beneficiato dell’indennità di prima sistemazione, al fine di consentire al collegio di svolgere le proprie funzioni di controllo».
Dopo una lunga melina e l’intervento risolutivo del Ministero del Lavoro, ai sindaci è arrivata l’agognata documentazione. All’interno però si nascondeva una sorpresa: mancavano, per motivi di privacy, i prospetti stipendiali dei singoli dirigenti. Risultato: a tre anni dall’inizio della querelle quei soldi contestati continuano a rimanere nelle tasche dei loro illegittimi proprietari. E anche se nel 2014 la prima sistemazione è stata cancellata, è rimasta in vigore l’indennità di mobilità, in pratica un doppione di quella soppressa. Sino a due anni fa c’era chi, approfittandosene, riusciva persino a sommarle e a raggiungere un incremento di stipendio di 60 mila euro l’anno. Anche la mobilità è destinata ai dirigenti che cambiano sede su richiesta dell’ente e pure in questo caso si tratta di 30 mila euro l’anno e di 2.500 euro di affitto al mese. Per ottenerli, al contrario della prima sistemazione, bisogna trasferire la residenza. Oggi ne usufruiscono una trentina di dipendenti. Il colmo è che se, putacaso, uno si sposta e poi fa ritorno nella propria città, magari dove tiene casa e famiglia, continua a percepirla. Basta solo ripresentarsi all’anagrafe.