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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Commento alla finale Champions di Mario Sconcerti

È stata una piccola grande finale, due squadre quasi incapaci di superarsi, un tatticismo spinto, come è ovvio nel calcio in cui il risultato ha il peso massimo. Non c’è stata distinzione tra le due squadre, questo è il fenomeno più evidente della serata. Hanno giocato entrambe alla stessa identica maniera pur con giocatori opposti. Nessun individualismo particolare, nessuna differenza tattica, una costante abbastanza piatta che conferma il peso della forza, della corsa, nel calcio di altissimo livello. La differenza, il particolare per esempio sconosciuto nel calcio normale, è stata la velocità nei passaggi, nelle giocate semplici che semplici non erano ma lo diventavano per la grazia della tecnica. Ma il cuore del gioco è stato puramente speculativo. Segno un gol poi mi difendo, subisco un gol e poi attacco. È stata questa la logica che ha reso la partita una pianura noiosa, come se si corresse con un peso sulle spalle. È questo tatticismo che ha ridistribuito la corsa tra Real e Atletico, lo stesso tatticismo che sessant’anni fa fu inventato in Italia dalle piccole squadre per togliere differenza alle grandi. Solo che queste erano le più forti squadre d’Europa, ma non importa, è giusto così. Negare gli spazi agli avversari in qualunque modo è il primo tentativo di vincere, anche quando non ci riesce nessuno. La partita semmai ha dimostrato fino ai rigori definitivamente un particolare moderno: il Cholismo, il gioco di Simeone, non è essenzialmente difendersi, questo è un particolare quasi didattico. Il Cholismo è cuore, dare tutto, partire dalla propria inferiorità per trasformarla in uno scopo. E su questo scopo costruire calcio. Avevo pronosticato l’Atletico ma ho sbagliato come tutti, non è stata una partita, è stata una palude di particelle elementari dove ognuna ha annientato l’altra. È contro la storia vedere Ronaldo fuori dalla partita, guardare Bale ondeggiare con vaghezza, Torres non esistere, i migliori giocatori d’Europa normalizzarsi nella corsa e in una battaglia di respiri. Ma è questa grande bruttezza che fa onore al calcio, che lo rende di un calore diverso, indistinguibile. Il calcio non è solo estetica, è molto di più. È questa sofferenza popolare, questo non saper dare corpo alla propria diversità, questa specie di democrazia muscolare dove tutto sembra sempre inevitabile e ingiusto. Ma alla fine corretto. Non resta a mio avviso che prenderne atto e rispettarlo.