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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Unicredit, Ghizzoni se ne va tranquillo e sereno. E qui spiega perché

Federico Ghizzoni ieri era nella sede di Unicredit, al Pavillion, a presentare la finale di Champions League, di cui l’istituto è main sponsor. Parlava di calcio con padronanza, da tifoso (dell’Inter) e da manager. Un giorno da banchiere come tanti, se non fosse che cinque giorni fa il manager 60enne ha deciso «consensualmente» con il consiglio di lasciare l’incarico di amministratore delegato, non appena sarà individuato il successore. E non diventerà presidente: «Il problema non si pone».
Sembra sereno. Lo è?
«Sì, sono sereno, mi rendo conto che si può stentare a credere che uno lo sia. Sereno non vuol dire che non ci sia un po’ di rammarico perché comunque è un’azienda in cui ho lavorato fin dall’inizio, per 36 anni. Ma, presa la decisione, bisogna guardare avanti. Quindi serenità, tranquillità: oggi è questo il mio stato d’animo prevalente».
Era da un po’ di tempo che covava il malcontento tra i soci, ma ancora a febbraio le era stata confermata la fiducia. Come mai ora si è arrivati a questa decisione?
«Come ho scritto ai colleghi in banca, sono momenti di vita aziendale che non si sa nemmeno bene come partono. Quando viene a mancare quel minimo di chimica per andare avanti, senza dire chi ha torto e chi ha ragione, la mia filosofia è sempre stata: meglio interrompere, meglio farlo consensualmente e comunque senza traumi, e guardare avanti. Questo approccio l’ho sempre visto nell’interesse dell’azienda, di Unicredit: bisogna evitare che si rimanga troppo esposti a incertezze, agli articoli sulla stampa. Si taglia e si passa al futuro. È un approccio mio di vita che ho sempre avuto».
Avrebbe preferito andare ancora avanti, o un ciclo era comunque finito?
«Beh, direi che vai avanti se trovi l’interesse di tutte le parti coinvolte. Andare avanti da soli a tutti i costi, mai».
Ha guidato Unicredit per sei anni complicati, e il consiglio gliene ha reso merito. Che differenza c’è tra la banca di allora e quella di ora?
«Ci sono diverse differenze. La banca di allora aveva finito un ciclo di aggregazioni, poi sono arrivati i primi sintomi della recessione, nel 2008-2009, e quindi ci si è posti il problema di razionalizzare, di rafforzare patrimonio, liquidità eccetera in un contesto molto difficile di quattro anni di recessione. Siamo partiti da un 7% di capitale e siamo arrivati oggi a circa l’11%, abbiamo ridotto il gap di funding da 150 miliardi negativi a positivi, razionalizzato il bilancio, vendute alcune partecipazioni dove non c’erano ritorni sufficienti, messo in sicurezza il costo del rischio a 63 punti base. Tante cose sono state fatte, si chiude ora una fase di ristrutturazione e riorganizzazione e se le economie crescono si può pensare a una fase di crescita, che peraltro è già riflessa nei primi numeri visti quest’anno, con un trimestre a livello di risultato operativo oltre le aspettative e riconosciuto da tutti gli investitori. Ora la banca ha la possibilità di spingere su quel fronte e tornare a guardare a un futuro di crescita e non solo di ristrutturazione».
Una delle cose notate dagli analisti è il calo del titolo, superiore alla media delle banche. È giustificato o no? Come se lo spiega?
«È giustificato da tutti gli analisti da un livello di capitale considerato in questo momento inferiore a quello che dovrebbe essere. Ma teniamo presente che fino a novembre il titolo era a 6 euro e il capitale allora era considerato adeguato, seppure da rafforzare organicamente nel tempo. Sono successe diverse cose da allora, c’è stata la crisi delle quattro banche, il problema degli npl uscito in Italia, quindi la tensione sul capitale si è accentuata. In tutto questo, non abbiamo mai negato che il capitale sia da rafforzare, ed è quello che abbiamo cercato di comunicare al mercato fin dall’ultimo piano industriale, ed è quello che dovrà essere fatto nei prossimi mesi e anni. Non c’è nulla di nuovo: questa banca ha oggi un trend operativo in crescita, un costo del rischio e un livello di crediti deteriorati rispetto al credito entrambi abbondantemente inferiori alla media delle banche italiane, perché va considerato il gruppo, non solo l’Italia. Rimane da lavorare per consolidare il capitale ma non è una cosa nuova».
Il mercato sembra richiedere un aumento di capitale.
«Sul capitale, dal punto di pista dell’aumento o meno, non ho mai parlato né voglio farlo per rispetto al consiglio e al mercato stesso. Dobbiamo rafforzarlo, stiamo lavorando su crescita di capitale di tipo organico poi si vedrà in futuro se ci sono alternative».
Il momento più esaltante e quello più difficile?
«Momenti esaltanti, tanti. Tra i migliori, il fatto che la banca italiana dopo anni di sofferenze è tornata a macinare utili e ad essere il motore del gruppo: i colleghi lo meritavano. E poi il fatto che il Centro Est Europa, che è stato in difficoltà e negli ultimi anni oggetto di critiche, quest’anno raddoppierà gli utili rispetto a un anno fa ma poi anche di più. I momenti difficili sono stati più di uno, perché 4-5 anni di recessione non sono stati facili da gestire, e il sistema bancario ha dovuto far fronte a regole nuove e molto impegnative e alla necessità di una profonda trasformazione del modello di business, peraltro ancora in corso. Ma quei momenti li abbiamo superati, ora guardiamo al futuro con positività».
Ha in mente un profilo del suo successore?
«Per il successore c’è una commissione che è stata nominata dal consiglio, sta a loro individuare il profilo, concordarlo con il consiglio e poi iniziare la ricerca. Io ce l’ho in mente ma ovviamente lo tengo per me. Ci sono i quattro colleghi incaricati, poi se verrà chiesta la mia opinione la darò».
Contatti per nuovi lavori?
«Finché sono ceo di Unicredit, come mi è stato chiesto dal consiglio, sono concentrato su Unicredit. Sul dopo non ho idea. Mi ha fatto piacere professionalmente che in questi giorni qualcuno si sia ricordato di me, anche dall’estero, poi vedremo cosa offrirà il futuro. Ma nel breve è tutto Unicredit».
Dal governo l’ha chiamato nessuno?
«Ci sono stati contatti ma non specifici sul tema».
Qualche amico in consiglio le è rimasto?
«Ma con il consiglio io non ho un rapporto conflittuale. Di certo non lascio perché sono amico di qualcuno e nemico di qualcun altro. Siamo arrivati a questa situazione per diverse ragioni, ma non ho nulla su cui recriminare. Non credo di lasciare nessun nemico all’interno del consiglio».