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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Come si muore a Sirte

«Il mio nome vivrà più del tuo». Sono state queste le ultime parole di Amjad bin Sasi. Diciannove anni, Amjad le ha rivolte al suo boia prima che questi gli sparasse un colpo alla testa.
Sirte, costa libica. Fino al 2011 questa cittadina di 150 mila anime era nota come la roccaforte di Gheddafi, oggi è il bastione di Isis in Libia. I miliziani usano il terrore per governarla. Proprio come fanno i narcotrafficanti dei cartelli messicani, lasciano i corpi degli oppositori uccisi appesi a un ponte, a sud della città. Tutti devono sapere cosa succede a chi non piega la testa.
Prima di uccidere Amjad, in dicembre i jihadisti lo hanno fatto apparire tre volte davanti alla corte della sharia. Gli chiedevano di pentirsi per aver bestemmiato durante una lite con un vicino. Ma lui, no. «Amjad era un ragazzo orgoglioso e irascibile», racconta lo zio Salah Salem Bin Sasi al Times, che ha pubblicato l’immagine dell’esecuzione del ragazzo. «Amjad faceva parte di una milizia fedele a Alba libica, la coalizione che ha tentato di cacciare Isis da Sirte prima del 2015», si legge in un rapporto di Human Rights Watch pubblicato due settimane fa.
Nelle quaranta pagine diffuse dalla ong statunitense, emerge, tra le altre cose, come ai parenti delle vittime non vengano quasi mai restituiti i corpi. I resti di Milad Ahmed Abourgheba, 44 anni, crocifisso e lasciato alla mercé di tutti con indosso la stessa tuta arancione degli ostaggi di Isis e dei prigionieri di Guantanamo, i parenti se li sono portati via di notte di nascosto avvolti in un tappeto. Anche Milad Ahmed, dopo essere scappato a Misurata si era unito alle milizie di Alba libica a metà del 2015. Poi, il ritorno a Sirte e la tawba, il pentimento, pronunciato di fronte a Isis. Ma non era sufficiente. «È una spia», è stata l’«accusa».
Storie tremende, già trapelate dagli altri bastioni dello Stato Islamico, da Raqqa in Siria, fino a Mosul in Iraq. «Quando sono arrivati in città la prima volta nella primavera del 2015 non interferivano troppo con le nostre faccende, sembravano più che altro interessati alle tasse», spiega al Times Yusuf, 32 anni, ingegnere. Poi, man mano, i miliziani hanno iniziato a prendere il controllo delle scuole e imporre regole religiose.
Come a Raqqa e Mosul hanno messo al bando la musica e le sigarette. Ma Isis non usa solo la sharia per regnare. «Hanno un applicazione installata sui laptop per controllare i file cancellati dagli smartphone, comprese le mail e le chat di Viber», racconta ancora Yusuf.
Dati gli insuccessi in Iraq e in Siria, Sirte potrebbe diventare l’avanguardia del Califfato. «Il loro motto è “Esisti se ti espandi”», ha scandito il colonnello Ismail Shukri, il capo dell’intelligence di Misurata. Ma i miliziani devono pregare di non perdere un centimetro di terra.
Perché in quel caso, dovranno vedersela con i parenti delle persone giustiziate, pronti a imbracciare le armi. Come lo zio di Amjad. «Quando arriverà il momento sarà facile in una città così piccola scoprire chi è stato dalla parte dell’Isis». E allora sangue chiamerà altro sangue.