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 2016  maggio 30 Lunedì calendario

«Non ho né cultura né pazienza. Sono un autodidatta della risata». Intervista a Maurizio Battista

Un reality perenne, una sintesi continua, un’interazione progressiva. “Questione di orecchio, è fondamentale. Ascolto, valuto, provo e riporto sul palco tutto quello che avviene nella mia vita”, racconta Maurizio Battista, un tempo oramai lontano barman, oggi uno dei comici più seguiti e prolifici del panorama italiano. Voce roca, toni bassi, modulati, sorriso, un altro sorriso, quando parla incrocia la sua esistenza, piccoli, grandi episodi, drammatici, ironici o meno, con quella degli altri. “È come se fossi ancora dietro al bancone, due chiacchiere tra un caffé e un cappuccino; una birra e un tramezzino. Quella è stata la mia scuola di vita”. Quando sei confessore e amico; confessore e semplice uditore passivo; confessore e magari l’unico in grado di strappare un sorriso di sollievo. “E ho smesso solo quindici anni fa, fino ad allora aprivo il bar la mattina, tornavo a casa il pomeriggio per stare con la famiglia, e sul palco la sera. Una botta!”.
E cosa ha imparato in questi anni di palco?
Semplice: se riesci a strappare immediatamente la risata, hai risolto il problema. Sempre. L’inizio è il cruccio. I minuti iniziali sono determinanti, anche se ti conoscono.
Bene, questa è la prima legge di Battista. Qual è la seconda?
So che è importante andare a cena con certe persone, perché poi, magari, ti danno una trasmissione o una parte in un film. Ma non ci riesco. È capitano con Paolo Genovese, però mi sono immediatamente bloccato. Mi vergogno come un cane. Forse l’unica volta è stata con Pieraccioni… Comunque non sono in grado di leccare…, e questo non mi rende simpatico.
Poi si è da sempre dichiarato di destra…
Vero, ma sono più attento di molti altri sul sociale. Detesto i radical chic, i fintoni; non sopporto quelli che parlano solo, grandi proclami e pochi fatti, e magari poi indossano la maglietta da quattro piotte (400 euro). Comunque è importante frequentare. Ah, non è snobbismo: mi rompo proprio.
Quindi non segue nessuno del suo ambiente?
Poco. L’altra sera sono andato a vedere Pino Insegno al teatro Ghione, la prima domanda che gli ho rivolto è stata: quanto dura? ‘Un’ora e venti’, ok ce la posso fare. Altrimenti me ne vado. Ammetto: ho dei limiti.
Il teatro impegnato è “leggermente” lontano da lei…
Quando vado mi piazzo sempre in ultima fila, pronto alla fuga. Non ho né cultura né pazienza, non le capisco certe pieces. Spesso portano in scena lavori che piacciono solo a un nucleo ristretto di persone, e poi si stupiscono se non va nessuno.
Lei è autodidatta e conquista teatri importanti…
Perché la pratica vale più della grammatica, sono come un tecnico che scalza l’ingegnere nella realizzazione dei lavori, ed è per questo che ho pochi amici. E poi loro vivono o puntano ai finanziamenti pubblici, mentre i miei finanziamenti arrivano dal botteghino.
Un rimpianto?
Mia madre e mio padre, morti troppo presto, hanno visto troppo poco della mia vita. Una sofferenza.
Se ripensa agli inizi, quali errori?
O sei comico dalla grande tecnica come Enrico Brignano, uno che ha in testa una scaletta, senza un grande cuore, ma memoria e senso del tempo, oppure sei come me, uno che improvvisa, ogni spettacolo è differente e spesso non ricordo neanche cosa ho detto il giorno prima. Rimuovo, cancello.
Insomma, in cosa è migliorato?
Ho capito quanto è fondamentale non insistere su un argomento se il pubblico non lo recepisce, mentre è importante cambiare strada, tenere il polso della platea.
Una sua dote.
Ho orecchio, ascolto ciò che mi accade e capisco se ha potenzialità. Attenzione: chi esce dai miei spettacoli non si sentirà mai più saggio rispetto all’entrata, ma più allegro e leggero, sì.
Lontano dalla sua città calibra l’accento romano?
No, vado così. Fuori Roma i miei successi più grandi sono a Bergamo, Varese e Chiavari. Il comico deve sempre avere un’inflessione, qualcosa può sfuggire, ma non importa, conta anche la mimica.
Al Nord è più faticoso…
Il contrario, a Roma sono abituati, quando vado fuori è un evento. A Milano ho riempito per tre date il Nazionale, tremila persone in tutto.
Ha pure coinvolto il mago Silvan.
Fermate! Che personaggio unico. Quando l’ho chiamato mi ha detto: salgo sul tuo palco solo perchè ti voglio bene. E parliamo di un uomo di 82 anni, un professionista straordinario: il primo ad arrivare l’ultimo a lasciare; durante la serata finale si è pure commosso.
Le è piaciuta la trasmissione “Eccezionale veramente” dedicata alle nuove leve?
Per carità. Quando Gabriele Cirilli rivendica ‘questi comici li ho scelti io’, gli vorrei suggerire ‘shhh, sta’ zitto, è meglio’. Lo stesso Abatantuono lo prende in giro. Gabriele non può condurre, non è in grado, non è all’altezza, non ha la levatura giusta.
Non l’ha convinta nessuno degli aspiranti comici?
Sì, un marchigiano, ma l’hanno scartato.
Cirilli non le sta molto simpatico…
No, la questione è un’altra: se ti senti Dio, allora sono costretto a spiegarti che non sei neanche un parroco. Cirilli è uno che ride di se stesso, è come andare a letto con una donna, poi guardarla, occhiolino, sorrisetto e soddisfatto manifestare un’auto-lode per la prestazione.
I comici che “puntano sulla politica mi stanno sulle palle”…
L’ho detto e lo confermo. Vuole uno spettacolo di politica? Ci metto un pomeriggio, troppo facile. Vuole ancora creare una battuta sui capelli di Berlusconi o i denti di Renzi?.
Così smonta Crozza.
Per carità, un grande professionista, ma Noschese trent’anni fa era meglio di lui.
Non salva proprio nessuno?
Poco tempo fa sono andato a vedere Arturo Brachetti: all’inizio bravissimo, poi bravo, passata un’ora sono scappato. Ripetitivo.
Ha lavorato con Ceccherini…
Tre film insieme, che tipo! Ma lo vedevo poco perché
ogni tanto si sentiva male, non è in grado di stare calmo, di dosare le forze, chiuse le riprese iniziava a girare per bar e la mattina erano dolori.
Esiste un gruppo romano di comici?
No, solo toscani e napoletani sono stati bravi a costruire qualcosa, tra loro c’è solidarietà, si spingono, si valorizzano. A Roma niente.
C’è Gigi Proietti…
Altro livello, ha una cultura teatrale imbarazzante, potrebbe portare sul palco qualsiasi cosa, qualsiasi, anche la più complicata. Eppure riesce a farsi capire da tutti, con cavalli di battaglia solidi da quarant’anni.
C’è Enrico Montesano.
Lui appena ha alzato la cresta lo hanno bastonato, appena si è creduto ‘qualcuno’ è finito il gioco.
A proposito di “gioco”, lei ha litigato con Spalletti per difendere Totti.
Mah, gli ho detto ‘stronzo’. Però l’ho contestualizzato:
era la partita con il Torino, quella del 3-2 finale per noi, e mi sono sfogato davanti alla sua reazione poco soddisfatta per le prodezze del capitano. Oh, io sono così, resto comunque l’uomo del bar. Ah, le piace il pollo con i peperoni? No! Allora mangio anche il suo. E magari ci costruisco pure un siparietto comico. Sui peperoni, eh.