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 2016  maggio 30 Lunedì calendario

Tra i settecento migranti morti in mare in una settimana ci sono quaranta bambini • Alle celebrazioni del 2 giugno sfileranno anche i sindaci • Le tasse del Califfato su barbe, sigarette e alcol • La studentessa strangolata a Roma • Nel 2050 il viaggio in treno Milano-Roma durerà meno di 30 minuti • La Tac svela nuove verità sulle vittime di Pompei

 

Migranti 1 Tra i settecento migranti morti in mare in una settimana ci sono quaranta bambini, alcuni tirati a bordo delle navi di salvataggio e altri inghiottiti dal mare (Ruotolo, Sta).

Migranti 2 Awa, 24 anni, eritreo, uno dei circa 90 superstiti dell’ultimo naufragio (quello di venerdì, avvenuto a una quarantina di miglia dalle coste libiche) era nella stiva dove almeno 300 persone sono morte intrappolate, e non sa ancora come ha fatto a venirne fuori in tempo: «L’acqua saliva lentamente e noi in stiva insieme a tante donne e bambini, con delle taniche vuote raccoglievamo quella che potevamo per ributtarla in mare. Ma è stata una fatica inutile. L’acqua continuava ad entrare, non so da dove, e capivamo che la barca stava affondando lentamente. C’erano almeno 40 bambini, sono morti così, sotto i nostri occhi». «I motori erano spenti, la pompa di sentina non funzionava perché non c’era carburante. Eravamo più di 500 su quel barcone, i più fortunati erano in coperta. Tutti gridavamo, le donne e i bambini piangevano. L’acqua continuava a salire, le mamme tenevano in alto i loro figli, nell’inutile tentativo di salvarli. La nostra barca era attaccata con una cima e trainata da un altro barcone, anche questo con circa 500 persone, che per sette, otto ore, ci ha trascinati in mezzo al mare. Poi il nostro peso e l’acqua che continuava ad entrare dentro ha cominciato a rallentare la marcia. Ad un certo punto qualcuno ha tagliato quella cima che ci legava, la fune è diventata una molla, una frusta che ha colpito al collo una donna che si trovava a poppa e le ha fatto quasi saltare la testa. Gridavamo, chiedevamo di salire sulla prima barca. Ma non c’era posto e gli scafisti avevano fretta e così siamo affondati» (Viviano, Rep).

2 giugno La Repubblica italiana compie 70 anni e questa volta le celebrazioni del 2 giugno non saranno una esibizione delle Forze armate, ma una festa di tutti gli italiani. Non solo di quelli che indossano la divisa. Una svolta, maturata negli ultimi anni e portata a compimento da Roberta Pinotti, di concerto con il Quirinale e con Palazzo Chigi.«Nella sfilata — spiega la responsabile della Difesa — sono le Forze armate e gli altri corpi dello Stato che fanno festa alla Repubblica e non, come si è talvolta dato a intendere, la Repubblica che esibisce, celebra e onora le Forza armate». Per la Pinotti è un «cambio di passo», una «rivoluzione simbolica» che nasce da «una rinnovata consapevolezza democratica» della stessa Difesa. Per la prima volta alla parata, privata dell’aggettivo «militare», sfileranno anche 400 sindaci in rappresentanza degli ottomila Comuni italiani, selezionati tra tutti i primi cittadini che hanno aderito all’invito dell’Anci. Saranno i sindaci, con le loro fasce tricolori, ad aprire la sfilata ed è una novità assoluta, pensata per sottolineare che il 2 giugno si festeggia prima di tutto la comunità nazionale e l’unità d’Italia. In questo nuovo quadro l’omaggio delle Forze armate sarà solo una parte, non più il cuore delle celebrazioni. D’altronde, sottolinea l’ufficio stampa della Pinotti, a queste è dedicata la festa del 4 Novembre. La Rivista militare, alla presenza del capo dello Stato e dei vertici delle istituzioni, non sarà troppo diversa da quella del 2015. La tradizionale location non cambia. In via dei Fori imperiali sfileranno circa tremila persone, tra militari e civili. Non si vedranno blindati, né cingolati. I soli cavalli saranno quelli dei corazzieri e per due volte le Frecce tricolori solcheranno il cielo di Roma, i cui palazzi militari sfoggeranno facciate coperte da enormi bandiere verdi, bianche e rosse. Un posto d’onore avranno la Marina militare e la Guardia costiera, in prima linea nel soccorso ai migranti (Guerzoni, Cds).

Isis Grazie alle offensive anti-Isis e ai bombardamenti in Siria e in Iraq, tra dicembre e marzo il Califfato ha perso il 22% del territorio che controllava. Meno territorio significa anche meno abitanti da tassare (sono passati da 9 a circa 6 milioni), mentre i bombardamenti hanno danneggiato la principale fonte di introito: il petrolio. Così negli ultimi sei mesi i miliziani sono stati costretti a inventarsi modi nuovi per riempire le casse, come aumentare le imposte e le multe, ma anche introdurne di nuove. Qualche esempio. Se le donne non si coprono per bene gli occhi dietro tripli veli: 10 dollari di multa. Se portano un’abaya troppo «aderente»: 25 dollari. Se tralasciano di indossare i calzini o i guanti: 30 dollari. Per gli uomini che si radono: 100 dollari di multa. Per quelli che si accorciano la barba: 50 dollari. Gli uomini trovati in possesso di un pacchetto di sigarette pagano 46 dollari mentre tutti devono sborsare 50 dollari e subire 50 frustate se sorpresi a bere alcolici. E per chiunque non sappia rispondere ai quesiti sul Corano o la legge islamica posti a sorpresa dalla Hisba, i «vigili» del Califfato: 20 dollari. Le tasse costituiscono oggi la metà circa del budget di 56 milioni di dollari al mese dell’Isis (l’estate scorsa erano 80 milioni), secondo un rapporto della società di consulenza e analisi di Difesa IHS Inc (Mazza, Cds).

Delitto Sara Di Pietrantonio, 22 anni. Romana, bella, occhi azzurri e lunghi capelli biondi, minuta, diplomata al Conservatorio, a casa si esercitava ancora con il flauto studiato per due anni. Iscritta alla facoltà di Economia Aziendale all’università Roma Tre, «secchiona ma non di quelle antipatiche, anzi tranquilla e sempre sorridente». Appassionata di danza e musica, in particolare Mika e Ligabue, figlia unica di genitori separati, pochi giorni fa dopo un anno di fidanzamento aveva rotto con Vincenzo, guardia giurata di 30 anni, «gelosissimo, pressante, ossessivo». Lui non l’aveva presa bene e da allora «la tampinava». Sabato sera Sara uscì con l’amica del cuore Flaminia, che abitava vicino a casa sua: provarono i passi del prossimo spettacolo di danza, poi andarono in discoteca. Verso le 3 e mezza di notte Sara riaccompagnò l’amica, mandò un sms alla madre Tina, «Mamma, sto tornando», e mise in moto la sua Toyota Aygo. In via della Magliana qualcuno sperandola con l’auto la costrinse a fermarsi, lei terrorizzata scappò a piedi fino al parcheggio del ristorante “la Tedesca” ma lì dietro un cespuglio quello che la inseguiva la raggiunse, la picchiò, forse la strangolò. Quindi il killer diede fuoco prima alla Toyota, poi al cadavere: il fuoco devastò soprattutto le spalle, il volto e la testa di Sara, fino a renderla quasi irriconoscibile. La madre, che non vedendola arrivare e non riuscendo a parlarle al telefono era uscita a cercarla con suo fratello Andrea, vide prima la Toyota in fiamme e poi la figlia a terra, semicarbonizzata, le braccia larghe e la camicetta sbottonata. Interrogato l’ex fidanzato. Sera di sabato 28 maggio in via della Magliana a Roma.

Capsule Nel 2050 alla stazione ferroviaria potremo entrare in un tubo dentro al quale correrà una capsula di alluminio, quasi della stessa sezione del tubo. Non ci saranno diversi vagoni ma un solo locomotore-vagone, capace di ospitare 40 o 50 passeggeri. La capsula viaggerà su un binario a levitazione magnetica, che però esiste già adesso, quindi non sarà questa la novità: la vera sorpresa sarà una specie di ventola davanti al locomotore-vagone, che aspirerà l’aria creando un vuoto, verso il quale la capsula sarà attirata in un movimento senza attrito. Gli ingegneri dicono che si raggiungere la velocità del suono. Così il viaggio in treno Milano-Roma, ad esempio, durerà meno di 30 minuti. Il progetto si chiama Hyperloop, è stato oggetto quest’anno di un test di fattibilità nel Nevada (non con un vero treno, ma solo con un dimostratore tecnologico senza persone a bordo) e fra pochi anni potrebbe trasportare i primi passeggeri (però a velocità molto ridotta): si studiano due percorsi fra Los Angeles e San Francisco e fra Dubai e Abu Dhabi (Grassia, Sta).

Pompei La storica Mary Beard ha analizzato con la Tac venti calchi di gesso delle vittime di Pompei. I calchi sono la rappresentazione delle persone nell’istante esatto della loro morte, hanno pose ed espressioni drammatiche, incredibilmente realistiche. Ad avere l’idea di crearli fu nel 1863 Giuseppe Fiorelli, direttore degli Scavi dell’epoca, Giuseppe Fiorelli, riempiendo con gesso liquido gli spazi vuoti dei corpi che emergevano sotto la cenere, dovuti al disfacimento della materia organica. Nessuno però finora li aveva studiati in modo approfondito. Inserendo i calchi nella macchina in grado di vedere oltre il gesso che intrappola il corpo, si è scoperto che molti sono diventati famosi con nomi attribuiti in base a quello che si immaginava osservandoli dall’esterno. Ad esempio uno dei gruppi più noti di Pompei, quelli che finora erano sempre stati noti come la madre e il padre in realtà sono due giovani ventenni. Si scopre che ci si è sbagliati di grosso nel caso del calco conosciuto da sempre come «Il mendicante». In mano aveva uno strano oggetto, tutti hanno sempre pensato che fosse la borsa dove mettere i soldi dell’elemosina, lo si è sempre immaginato come un povero vecchio in attesa di qualcuno che gli lasci una moneta. In realtà lo strano oggetto che ha in mano è solo un errore del calco e dai vestiti apparsi dall’esame si notano sandali, cinghie usate solo da persone dei ceti sociali più alti. Del tutto errata anche l’idea sull’età: era un giovane in ottima forma. Lo stesso per quanto riguarda una donna incinta, la pancia in realtà non è che un rigonfiamento creato dai vestiti durante l’eruzione (Amabile, Sta).

(a cura di Roberta Mercuri)