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 2016  maggio 30 Lunedì calendario

Chi era Sara Di Pietrantonio

«Voglio la verità. Devono trovare chi è stato, solo questo», dice con un filo di voce la mamma di Sara Di Pietrantonio, appena torna a casa, accolta dall’amore della sua famiglia, prima di rinchiudersi nella sua camera al primo piano di un villino giallo alla Pisana, periferia Sud-Ovest di Roma. Lei, che ha visto quello che gli occhi di una madre non dovrebbero mai vedere, il corpo della figlia semi-carbonizzato, accanto all’auto che le aveva prestato per uscire con le amiche, distrutta dalle fiamme. È stata lei a trovare il corpo, «con la camicetta strappata». L’orrore. «Ora voglio la verità», ripete ai parenti.
«Sara era una ragazza d’oro», dice la nonna Vittoria, che viveva con lei, insieme alla mamma e alla famiglia della zia di Sara. Ed è impossibile non crederle, a vedere le foto di Sara, i suoi occhi dolcissimi e i capelli del colore del sole. «Un angelo, non solo per la sua famiglia, ma per tutti quella che conoscevano».
Soprattutto, racconta la zia Anna, «era la ragazza più determinata che abbia mai conosciuto. Aveva un obiettivo in mente? Non c’era verso di convincerla a cambiare idea». Era stato così per la musica, una delle sue grandi passioni. «Per quattro anni, mentre frequentava il liceo scientifico a Roma, andava due volte a settimana in Abruzzo per frequentare le lezioni del Conservatorio». Quattro anni a rincorrere un pullman all’uscita da scuola, direzione L’Aquila, per non arrivare in ritardo ai corsi di flauto traverso. A rincorrere un sogno. «Ma aveva anche i piedi per terra», insiste la nonna. Tanto da iniziare a progettarsi un futuro, dopo la maturità, anche lontano dalle sue passioni.
L’UNIVERSITÀ
Primo tentativo: Medicina. Ma la ghigliottina dei test d’ingresso non le aveva permesso di indossare il camice bianco. Ma Sara non si era data per vinta. Per un anno si era «appoggiata» alla facoltà di Chimica, poi però aveva capito che non era quella la sua strada. E si era iscritta alla facoltà di Economia, all’università di Roma Tre, quella più vicino a casa. Qui è iniziata la rincorsa, «per recuperare quell’anno che sentiva di avere perso». E Sara è stata un fulmine. Un esame dietro l’altro. «Uno l’aveva fatto la settimana scorsa – ricorda ancora la zia – Promossa, come sempre. Ne aveva altri due questa settimana. Ma ora...», e la voce si incrina.Poco tempo per le relazioni amorose. C’era Vincenzo, con cui era stata insieme due anni. «Molto geloso», raccontano in famiglia. Si erano lasciati la settimana scorsa. Lei aveva già voltato pagina, si vedeva con un altro ragazzo.
L’altra passione era la danza. Non è un caso se al primo piano della casa dove abitava, c’è un quadro con una ballerina che si tocca la punta. Dipinta in mille colori, come la foto che Sara teneva in evidenza sul suo profilo Facebook. A mettere le scarpette aveva cominciato da piccola, a sei anni, con i corsi di ginnastica ritmica. Mentre i compagni delle elementari giocavano, lei passava i pomeriggi a ballare. Poi una scuola di danza, più tardi, per continuare a coltivare il suo sogno.
La sua prima fan era la mamma. La donna che l’ha cresciuta, quasi «da sola», dicono i parenti. «Aveva divorziato dal padre quando Sara aveva solo 3 anni. Anche se con lui il rapporto c’è sempre stato. Si vedevano con regolarità, non era un padre assente». Per lui tifava la Lazio. Ma allo stadio, se ci andava, era per i concerti di Ligabue, il suo mito. Lo ascoltava in macchina, a tutto volume. Anche quella canzone che fa: «Quando l’hai capito che... che la vita non è giusta come la vorresti te».