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 2016  maggio 29 Domenica calendario

La lotta contro le banche usuraie

Uomini che sfidano le banche. E qualche volta le battono, ma solo al termine di immani sofferenze. Secondo i dati del ministero della Giustizia, tra il 2012 e il 2015 il numero dei procedimenti iscritti nei tribunali ordinari in «materia di contratti bancari» è raddoppiato, passando da 18.238 a 37.197. Famiglie e aziende che si ribellano agli istituti di credito accusandoli di una lunga serie di scorrettezze. La più sgradevole delle quali è certamente quella di praticare tassi usurari. Possono vincere i clienti? Possono. «Circa una volta su tre», dice l’associazione dei consumatori e degli utenti bancari (Adusbef).
I numeri ufficiali restituiscono solo in minima parte le dimensioni del conflitto, perché ai contenziosi che galleggiano per anni nelle aule di giustizia, è necessario aggiungere le transazioni che si concludono tra banche e clienti e che contengono clausole esplicite dirette a impedire la divulgazione dei termini dell’accordo con l’uso di una formula farisaica che suona più o meno così: «Nessuna delle due parti riconosce il diritto dell’altra, ma per evitare di intasare le aule di giustizia l’istituto di credito liquida la somma stabilita al convenuto». Non ho colpe, ma pago. Bizzarro? Forse, ma certo non inusuale, visto che i tentativi di transazione sono circa ottantamila l’anno e che più di uno su due si conclude con un risarcimento.
Le cifre, che in questo caso si possono ottenere solo deduttivamente, mettono in luce anche un’altra faccia del problema: se è vero che dopo la crisi del 2008 gli istituti di credito si sono fatti più aggressivi, è anche vero che il numero di aziende nate per tutelare i clienti dalle banche è salito da 7 a 180. Discutibili uomini d’affari che possono arrivare a chiedere 15 mila euro per una perizia. «Pur restando pacifico che le banche commettono scorrettezze micidiali, buona parte di queste aziende è fatta da avventurieri che danneggiano i consumatori», dice l’avvocato Antonio Tanza, vice presidente dell Adusbef. Ma come funziona il sistema?
La giungla delle regole
Ogni tre mesi la Banca d’Italia e il ministero del Tesoro definiscono il tasso soglia oltre il quale il prestito viene considerato usurario, mentre la legge antiusura del 1996 (la 108) stabilisce quali sono le voci che intervengono a definire il costo del denaro. Apparentemente la formulazione è chiara: interviene a determinare il costo del denaro tutto ciò che il cliente è chiamato a pagare ad esclusione di tasse e imposte. Facile no? Difficilissimo. Perché non c’è un tribunale che decida come un altro. «Così ci troviamo di fronte a una babele di sentenze», dice Tanza. Il motivo? «Parte delle procure non ha sezioni con competenze specifiche per affrontare il problema e si affida alle circolari della Banca d’Italia che non hanno valore di legge e spesso sono in contrasto con la stessa», sostiene l’avvocato Attilio Simeone, membro del fondo anti usura del ministero dell’Interno. «Un fondo di quaranta milioni, purtroppo ancora riservato alle imprese e non esteso ai privati, al quale più di una richiesta su due arriva per usura delle banche».
Per alcuni tribunali le polizze assicurative pagate per tutelare il credito non vanno calcolate, per altri (e anche per la Banca d’Italia) sì. Alcuni giudici considerano i tassi di mora al di fuori del conteggio o conteggiabili solo nel momento in cui il cliente non paga la rata (come ritiene anche la Banca d’Italia), altri (in linea con la Corte di Cassazione e con la legge 108) stabiliscono che se al momento della firma il tasso di mora supera il tasso soglia, il contratto smette di essere a titolo oneroso e diventa a titolo gratuito. Insomma, una vera follia, in cui, sintetizzando grossolanamente, le banche (molte) ci provano, le associazioni e gli avvocati (molti) ne approfittano e i consumatori si giocano a testa o croce la possibilità di vedere riconosciuti i propri diritti. Nel frattempo la loro vita rischia di andare in pezzi.
Che cosa pensa di questo quadro l’Associazione bancaria italiana (Abi)? Glielo abbiamo chiesto con insistenza, non riuscendo a ottenere risposta.
«Il mercato produce anomalie for profit (quelle delle banche) e correttivi for profit (quelli di chi difende i consumatori), ma è impossibile trascurare un fenomeno che ha riguardato almeno quattrocentomila persone negli ultimi quattro anni», dice il professor Maurizio Fiasco, sociologo dell’Università di Tor Vergata, insignito dalla presidenza della Repubblica per le sue ricerche sull’usura. Come si evince la cifra? «Ho fatto delle analisi per il centro studi Sdl che dal 2012 si è occupato da solo di 150 mila reclami. Proiettando questi numeri su scala nazionale si arriva, per difetto, ai quattrocentomila contenziosi. E mi sono accorto che oltre la metà dei reclamanti appartiene a settori direttamente produttivi. Industria, artigianato, costruzioni, agricoltura. Finiscono nel mirino perché dovendo concedere garanzie reali sono più facilmente aggredibili. E al loro destino è legato quello di centinaia di migliaia di famiglie. Siamo di fronte a un fenomeno sociale gravissimo: chi sostiene la creazione di valore è in condizione di disagio. E qualcuno si appropria di questo disagio».
Il caso Rosso
Il disagio è fatto come Pietro Rosso e la sua ferita lunga 14 anni. La sua storia ha due facce. Una buona e una orribile. «Sono figlio di contadini e quando tornavo da scuola prima di studiare salivo sui cavalli per arare i campi. Amo la terra e amavo mia moglie, che veniva da Albano Vercellese come me. Aveva 14 anni quando l’ho conosciuta. E io diciotto. Non ci siamo più lasciati finché nel 2011 la morte se l’è portata via. Colpa di un tumore al seno e del dolore che aveva dentro per il massacro del nostro lavoro». Dunque Pietro trova la sua donna e costruisce la sua azienda agricola. E l’azienda funziona. Si alza alle quattro e mezzo del mattino e lei, che pesa 56 chili, si alza assieme a lui per aiutarlo a scaricare tonnellate di sacchi. Sono momenti duri e favolosi. Favolosi perché danno frutto. In pochi anni la «Marino Maria Maddalena» comincia a fatturare cifre importanti e a metà degli Anni Ottanta arriva a pagare 360 milioni di tasse. La banca di allora cambia direttore e l’ultimo arrivato ha un sospetto. Non capisce come sia possibile che a Pietro e a Marilena le cose vadano così bene. «Perché avete bisogno di un fido da 25 milioni con fatturati tanto alti?». Qual è il trucco, quale l’inganno? Pietro glielo spiega. «Per pagare i fornitori e mandare avanti il lavoro quotidiano. E per avere un po’ di sicurezza, ecco a che cosa ci servono i 25 milioni». Lo stesso trucco che usano altre centinaia di migliaia di imprenditori. Il direttore della filiale lo congeda con la condiscendenza di un barone che augura la buonanotte al suo maggiordomo e Pietro non glielo perdona. Si presenta il giorno dopo con un assegno che copre l’intera cifra, chiude il fido e chiude con la banca. Ne sceglie un’altra, padrona del territorio, che da molto tempo lo corteggia. Le condizioni sono buone, il direttore si comporta come se fosse il suo migliore amico e intanto, alla fine del secolo, l’azienda fattura quasi due miliardi. Ma non è ancora niente. Nel bene e nel male. Nel bene: arrivano i soldi veri, i fagioli di Saluggia e i cereali vercellesi finiscono in Sicilia, in Toscana, in Veneto e nei mercati di Bologna e di Torino e nel 2002 – l’anno del disastro – il giro d’affari tocca i 22 milioni di euro. I figli sono felici, la moglie è felice, Pietro è felice, anche i fornitori sono felici. Tutti sono felici, tranne la banca. Che già nel 2000 aveva cambiato atteggiamento, spingendo i Rosso a vendere obbligazioni sicurissime utilizzate come garanzia del fido in cambio di bond argentini. «Non volevo farlo, mi ci hanno portato e io ero troppo preso dal lavoro per discutere con la banca». Nel 2002 arriva una novità dall’istituto di credito e con la novità ecco i problemi. «Questi 450 mila euro di fido sono inammissibili». «Veramente sono garantiti e gli affari vanno benone». «Non basta, lei deve rientrare». Pietro sbianca, non capisce, e al disagio si aggiunge disagio quando uno dei suoi clienti fallisce, lasciando nelle case della «Marino Maria Maddalena» un buco da 200 mila euro. I bond argentini crollano. Pietro chiede pazienza. La banca non ce l’ha e lo mette con le spalle al muro. A quel punto i Rosso ricorrono agli avvocati. «Ci stanno rovinando». Chiedono aiuto a Sos Utenti di Gennaro Baccile e all’avvocato Emanuele Argento.
In attesa dei soldi
Il contenzioso si apre nel 2004 e si chiude con una sentenza di primo grado dieci anni dopo. «Nel frattempo abbiamo visto cambiare otto giudici». Nel 2011 Marilena muore, uno dei due figli cade in depressione, l’azienda viene iscritta nell’elenco dei cattivi pagatori e «se non fosse stato per un po’ di amici e di aziende che ci hanno aiutato non so che fine avremmo fatto». Una prima parte del finale la scrive il giudice di Vercelli, ricalcolando interessi sugli interessi, commissioni di massimo scoperto, valuta post pagata e interessi di mora. I numeri sono chiari: Pietro non ha mai dovuto un euro alla banca, ma è la banca che deve a Pietro più di mezzo milione. Intanto l’azienda gioiello è diventata una azienda fantasma. E Pietro aspetta angosciato l’Appello per capire se quei soldi li vedrà davvero. «Non mollo. Lo devo alla mia famiglia». Si guarda attorno riuscendo a espellere un po’ di infelicità sotto forma di lacrime. Il magazzino è pieno di crepe. Ma i fagioli, quelli buoni, li produce ancora. «Ne vuole un sacchetto?».
Pietro e i suoi fratelli
Quanti sono i Pietro Rosso in Italia? Decine di migliaia. Eppure il professor Fiasco parla di «rimozione del problema da parte della politica e di disfunzioni con costi sociali enormi», mentre l’avvocato Simeone sostiene che «quello degli istituti di credito è un problema di sistema, virale». E il vicepresidente dell’Adusbef, Tanza, giura che i decreti legge del maggio del 2016 del governo Renzi «hanno posato la pietra tombale sui diritti dei consumatori, mettendo ad esempio i costruttori nelle condizioni di perdere i palazzi dopo sole tre rate non pagate». Visioni di parte? Possibile. Ma secondo i dati di Sos Utenti, solo grazie all’anatocismo (interessi sugli interessi) nel 2014 sono entrati due miliardi nelle casse delle banche, altri 24 sarebbero arrivati in virtù dell’aumento dei tassi soglia dal 2012 a oggi e la stessa Banca d’Italia, pur sottolineando che gli esposti per usura arrivati in via Nazionale sono calati del 50% (passando dai 4.800 del 2014 ai 2.200 del 2015, forse perché i consumatori cominciano a temere di essere coinvolti in liti temerarie), in ventiquattro mesi ha spinto le banche a restituire 165 milioni di euro – per le più svariate forme di irregolarità – a una clientela che ha una alfabetizzazione finanziaria bassissima e si consegna agli istituti di credito senza un minimo di cautela.
«La verità è che le banche hanno smesso di fare le banche per dedicarsi ad altro. Non guardano più in faccia a nessuno. Neanche a clienti che stanno con loro da oltre trent’anni. Persone che spesso vengono da noi e che riusciamo a proteggere nel 90% dei casi», dice nel suo ufficio bresciano Antonio Calabrò, ex magistrato e ora neopresidente del centro studi Sdl, azienda che – nonostante i molti problemi avuti in passato – è presente su tutto il territorio nazionale, impiega 70 dipendenti solo nella sede di Mezzano e fattura 33 milioni di euro l’anno rappresentando imprenditori e cittadini comuni impegnati contro banche grandi e piccole che evitano di presentarsi alle mediazioni obbligatorie nel 57% dei casi, sperando di trarre vantaggio dai tempi imbarazzanti della giustizia civile. «Siamo di fronte a un problema enorme che le lobby presenti in parlamento nascondono sotto il tappeto. Noi riceviamo decine di aziende che, non ottenendo i soldi dalle amministrazioni pubbliche che commissionano i lavori, non sono in grado di onorare gli impegni con la banca. Così vengono segnalati alla Centrale Rischi ed esclusi da qualunque appalto. Salvo scoprire che invece di essere in debito erano in credito. Sono madri e padri disperati per la propria famiglia e per i propri dipendenti». Mostra decine di sentenze e di accordi di uomini che hanno battuto le banche dopo che le banche avevano battuto loro. Ma è impossibile uscire dal suo ufficio senza chiedersi se Calabrò e la sua azienda siano la soluzione o la rappresentazione fisica di quanto sia stato sottovalutato il problema.