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 2016  maggio 29 Domenica calendario

Crisi dell’acqua in Estremo Oriente

La siccità record che affligge il delta del Mekong è all’origine di tensioni tali fra Pechino e le nazioni dell’Indocina da suggerire il rischio di possibili conflitti per l’acqua dolce in Estremo Oriente.
Il delta del Mekong è alla prese con la peggiore siccità degli ultimi cento anni, causata secondo l’Ente federale americano per gli Oceani (Noaa) dal fenomeno meteorologico «El Nino» ovvero un insolito aumento delle temperature oceaniche nel Pacifico Equatoriale. In aprile si è registrata la più intensa ondata di calore degli ultimi 137 anni ed il governo del Vietnam afferma che le acque del Mekong sono scese ai livelli più bassi dal 1926. La siccità investe l’intero corso del grande fiume che si snoda lungo oltre 4300 km dal Tibet fino alla Thailandia ed al Mare della Cina Meridionale, causando gravi danni soprattutto all’agricoltura in Cambogia, Laos, Thailandia e Myanmar oltre al Vietnam, che sta soffrendo le conseguenze peggiori. Nel primo trimestre dell’anno il Pil di Hanoi si è ritratto – dal 6,17% precedente al 5,6% – per effetto dell’impatto della carenza di acque sull’agricoltura, maggior fonte di sostentamento per i suoi circa 90 milioni di abitanti. Il Dipartimento per l’Agricoltura degli Stati Uniti ritiene che la produzione di riso dell’Indocina – pari al 13 per cento del totale globale – ne risentirà, portando a un aumento dei prezzi ai danni in gran parte dell’alimentazione dei Paesi poveri.
La Cina ha risposto a tale emergenza annunciando il rilascio di maggiori quantità d’acqua dalla diga di Jinghong, ma ciò ha prodotto un effetto negativo perché il Vietnam ritiene che la carenza d’acqua sia aggravata proprio dalla presenza di sei grandi dighe che Pechino ha costruito nell’alto corso del Mekong, sull’altopiano del Tibet che controlla. Per Niwat Roykaew, presidente del gruppo ambientalista Chiang Khong, «la Cina trattiene con le dighe le acque raccolte nella stagione dei monsoni dai ghiacciai impedendo al livello del fiume di salire come il suo ciclo naturale prevede» con il risultato di far diminuire le acque esercitando quella che il geostratega indiano Brahma Chellaney definisce «una forte pressione sulle nazioni asiatiche attraversate dal Mekong e da una miriade di fiumi minori che ne discendono». Poiché l’Asia è il Continente con il maggior numero di dighe – solo in Cina ve ne sono 90 mila – la minor quantità di acqua dolce pro capite e alcuni dei livelli più alti di inquinamento idrico, quanto sta avvenendo lungo il corso del Mekong suggerisce il rischio, secondo un recente studio dell’«Australian National University», di «conflitti fra nazioni innescati da dispute sulle acque dolci a causa del sistema di dighe costruite da Pechino alle sorgente dei grandi fiumi asiatici che si trovano nella regione dell’Himalaya». Per avere idea del domino di conseguenze basti pensare alla forte ostilità con cui il Vietnam ha accolto il progetto del Laos di costruire in tempi brevi ben 11 dighe sul tratto del Mekong che attraversa il proprio territorio. La Cina da parte sua è anch’essa alle prese con un’emergenza-acqua che, secondo uno studio del ministero delle Risorse idriche di Pechino, è testimoniata dalla scomparsa di circa il 55 per cento degli oltre 50 mila fiumi che la attraversavano negli Anni Novanta. La Banca Mondiale ritiene che la carenza d’acqua in Cina sia una conseguenza della brusca accelerazione della crescita attraversata negli ultimi anni e l’Unicef conferma tale lettura attestando che dal 1990 circa 593 milioni di cinesi hanno avuto accesso a maggiori quantità di acqua nelle loro case e città. Il contenzioso sulle risorse idriche in Estremo Oriente diventa così il risultato della sovrapposizione fra crescita cinese, surriscaldamento del clima e rivalità nazionali trasformando l’Asia nel palcoscenico di una nuova tipologia di crisi.