Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  maggio 29 Domenica calendario

Il business americano delle prigioni private

NEW YORK.
Le chiamano “for-profit prison” e già questo dice molto. Il business delle prigioni private negli Usa sta vivendo da anni un vero e proprio boom, in controtendenza rispetto agli sforzi federali che da un qualche tempo tentano (con pene alternative) di ridurre il mostruoso numero di carcerati (circa 2,2 milioni, in percentuale sulla popolazione il più alto numero al mondo) che affollano le prigioni Usa.
Sono già 138, con 133mila detenuti, diffuse in tutti gli States, altre ne stanno costruendo. Poco conosciute (salvo quando scoppiano incidenti come quelli di ‘Ritmo’, la Guantanamo di Raymondville in Texas), poco controllate, teatri di abusi peggiori di quanto già avviene negli “inferni” federali e statali, sono gestite in modo da prolungare con tutti i mezzi (anche illeciti) la detenzione dei prigionieri. Nel decennio 2000-2010 i privati hanno individuato un terreno di caccia privilegiato, quello degli immigrati clandestini che tentano di evitare arresti e deportazioni (oggi gli “stranieri” detenuti sono circa 400mila e un quarto sono nelle mani dei privati). E si sono facilmente arricchiti.
Le due più grandi società di “for-profit prison” (il Geo Group e Corrections Corporations of America) insieme hanno incassato nel 2015 la bellezza di 3,3 miliardi di dollari. Se consideriamo tutto il giro d’affari (comprese le piccole prigioni a condizione familiare molto diffuse) arriviamo attorno ai 5 miliardi di dollari.
Nel budget federale le spese per il cosiddetto ‘criminal justice system’ sono ormai seconde solo a quelle per la sanità. In dieci anni Geo e Cca hanno più che raddoppiato il numero di detenuti che hanno “in carico” e a Wall Street le loro azioni non risentono di crisi. Nel 2015 solo per lobbying al Congresso hanno speso 32 milioni di dollari (in proporzione un incremento annuale più alto di quello di Big Oil, Big Pharma e della lobby per le armi), nel 2016 hanno finanziato diversi candidati repubblicani alla Casa Bianca.
Un business che nei prossimi anni potrebbe moltiplicarsi ulteriormente. Dipenderà tutto da chi vincerà a novembre, visto che Hillary Clinton e Donald Trump (con rispettivi partiti) hanno visioni diametralmente opposte. La prima decisa a invertire la rotta delle incarcerazioni di massa riformando il sistema delle prigioni, il secondo che vuole la deportazione di tutti i clandestini ed è pronto a finanziare (anche con soldi federali) i privati.
In prima fila contro Geo, Cca e gli Stati (soprattutto del sud) che usano il pugno di ferro e finanziano (abbondantemente) i privati, combatte l’American Civil Liberties Union (Aclu), la più importante organizzazione non-governativa per la difesa dei diritti umani con il suo ‘National Prison Project’. Carl Takei, legale dell’Aclu si affida a una vittoria di Hillary: “Il destino dell’industria delle prigioni private e quello delle incarcerazioni di massa sono inevitabilmente legati tra loro. Se queste ultime cesseranno verrà meno la ragione stessa per cui esistono le for-profit prison”.